La versione ufficiale è che “non ha vinto nessuno” che “non c’è stato alcun arraffa-arraffa”, che “è stata premiata la competenza e quindi l’interesse nazionale”. La verità è che tra martedì sera e ieri mattina ciascuno ha fatto un passettino indietro perché, appunto, “sarebbe curioso che su una partita del genere decidesse uno solo” (cit. capogruppo Lega Riccardo Molinari). Mentre invece in questi frangenti, come dice un altro colonnello leghista che negli anni ha perso il vizio del lupo e si è fatto agnello “c’è sempre uno che indica (in questo caso la premier, ndr) e poi altri che decidono”.

E così è andata nella difficile composizione del puzzle rubricato sotto il genere “nomine di Stato”, cioè le nomine dei manager che guideranno per i prossimi tre anni le più delicate e anche strategiche aziende partecipate dallo Stato ma operative sul mercato privato. Motivo per cui fin dalla fine della mattinata i colonnelli leghisti passeggiavano tra palazzo Chigi e Montecitorio con fare conciliante e sorrisi larghi da qui a qui. Missione compiuta anche per Gianni Letta, cioè Silvio Berlusconi, visto che Paolo Scaroni, attuale presidente del Milan ha poi avuto quello che chiedeva. “Aspettiamo la chiusura delle borse” è stato il messaggio filtrato da palazzo Chigi intorno alle 16. Alle 18, puntuale, è circolato il pizzino che avrebbe poi anticipato il comunicato ufficiale. È proprio un pizzino, solo cognomi e società, il primo nome indica il Presidente, il secondo l’amministratore delegato. Eni: Zafarana-Descalzi; Enel, Scaroni-Cattaneo; Leonardo, Pontecorvo-Cingolani; Terna, Di Biasio- Di Foggia; Post, Rovere-Delfante.

Diciamo subito che Meloni ha “vinto” nel voler dare continuità alle gestione di questa grandi aziende. La voglia di discontinuità, “l’uso del machete contro l’ultima tornata di nomine fatte da Pd e 5 Stelle” (cit. Lega), è stata immolata rispetto alla necessità di avere operative al cento per cento le aziende italiane a cui sarà probabilmente affidato il ruolo di non far fallire il Pnrr. Su dieci nomi, ben quattro sono conferme e su cinque partecipate, tre sono le caselle degli amministratori delegati in assoluta continuità con il passato. Esce di scena – per ora, ma potrà tornare nelle nomine di seconda fascia che scadono a breve – Luciano Carta: l’ex generale della Guardia di Finanza che Giuseppe Conte volle alla presidenza di Leonardo. Le caselle che hanno risolto lo stallo sono state quelle di Enel: Paolo Scaroni, indicato da Forza Italia, è stato nominato presidente e per il ruolo di amministratore delegato è stato scelto Flavio Cattaneo, oggi vicepresidente esecutivo di Italo e in passato per nove anni a Terna e per uno a Telecom Italia.

Il suo nome era emerso circa un mese fa quando il cerchio sulle nomine ha iniziato a stringersi. Non gradito a Meloni perché probabilmente troppo autonomo rispetto a certe dinamiche, il suo nome è tornato in cima alla lista in modo ufficiale nel faccia a faccia di martedì sera post consiglio dei ministri. Sondato dai tre rappresentanti della maggioranza, il manager avrebbe dato disponibilità solo per Enel dove è prioritario in questo momento vendere molte partecipate estere dell’impero creato negli ultimi nove anni da Francesco Starace. È un terreno questo su cui Cattaneo può far valere il suo valore aggiunto avendo trattato le partecipazioni brasiliane di Terna e di Telecom. Scaroni invece è il nome su cui non ha mai voluto arretrare Forza Italia: attuale presidente del Milan ed ex presidente di Eni ai tempi del processo sulle tangenti in Nigeria concluso con la totale assoluzione, il suo nome sembrava che non potesse in alcun modo passare i veri di Meloni. La premier alla fine ha dovuto cedere.

Con Enel la presidente del consiglio ha soddisfatto le mire di Lega e Forza Italia tenendo però il punto indicato dall’inizio: chiudere la stagione Starace. Sui successori ha dovuto silurare il suo “pupillo” Stefano Donnarumma attuale ad di Terna che Meloni aveva fin dall’inizio bloccato nella casella Enel e che molto probabilmente invece guiderà operativamente Ferrovie scippate a Salvini che ne voleva il controllo in funzione Pnrr. Alla Lega è andato come contentino anche la presidenza di Enel con Igor De Biasio. Meloni si è tenuta la casella di amministratore delegato assegnata a Giuseppina Di Foggia, ex ad di Nokia Italia, conosciuta bene dalla premier e dal suo entourage familiare. Di Foggia è stata sempre una predestinata in questa partita: il suo nome è stato indicato quasi subito, da quando l’8 marzo Meloni disse che era giunto il tempo per una donna ai vertici delle partecipate. È la prima amministratrice delegata di una grande partecipata. L’altra donna è Silvia Rovere, nominata presidente di Poste, moglie dell’ad di Bnl Andrea Munari e data in quota del sottosgretario Giovanbattista Fazzolari, in questi mesi king maker al tavolo delle nomine.

Una volta sciolto il nodo dell’Enel, e accontentati Salvini e Berlusconi, che volevano discontinuità almeno in una delle grandi partecipate, il resto era già tutto deciso. All’Eni è stato confermato Claudio Descalzi come ad mentre alla presidenza va l’attuale generale comandante dalla Guardia di finanza Giuseppe Zafarana che ha scalzato il collega Carta. Curiosità per gli appassionati di indizi e retroscena: Zafarana guidava il comando Regione Lombardia ai tempi del processo Eni (imputati Scaroni e Descalzi, poi assolti perché il fatto non sussiste). E sempre Zafarana guidava già il comando generale ai tempi dell’inchiesta Metropol sul petrolio da importare da Mosca e che ha coinvolto ambienti leghisti. Una coincidenza che può essere letta in vari modi. Di sicuro Meloni ha voluto alla guida di Eni un controllore qualificato.

In Poste è stato confermato Matteo Del Fante, al suo terzo mandato (prima nomina ai tempi del governo Gentiloni) e anche questa nomina era scritta visto il largo consenso che l’ad di Poste riscuote dal Quirinale in giù. Anche Poste sarà un player chiave nella realizzazione del Pnrr. Alla Presidenza è andata, appunto, Silvia Rovere in quota Fratelli d’Italia. La grande partita di Leonardo è da sempre quella che più appassiona visto il potere e il raggio di azione del colosso della Difesa e dell’aerospazio. Qui Meloni ha vinto contro tutti e tutto: il ruolo di ad è stato affidato all’ex ministro Roberto Cingolani. La premier ha voluto sfidare i consigli di chi l’ha messa in guardia rispetto ad un ruolo così tecnico e così sensibile per gli investitori stranieri. Cingolani ha spodestato Profumo (che ha provato a resistere fino all’ultimo) e adesso dovrà gestire un colosso che da solo vale molto quanto un ministero e i servizi segreti messi insieme. Le diplomazie dei paesi alleati avevano messo in guardia su un eventuale cambio della guardia ai vertici dell’azienda in un momento molto delicato come quello attuale (leggi appoggio militare in Ucraina).

Sulla casella della Presidenza, il ministro Guido Crosetto si è preso una piccola rivincita nominando l’ambasciatore Stefano Pontecorvo, lunga e importante carriera diplomatica nelle più delicate sedi come Pakistan e Afghanistan. È stato lui a gestire il delicatissimo ritiro della missione Isaf da Kabul riuscendo a mettere in salvo decine e decine di afgani. Non a caso è diventato “l’eroe di Kabul”. Pontecorvo è stato un’idea di Guido Crosetto che avrebbe voluto Lorenzo Mariani, attuale capo del consorzio missilistico Mbda, partecipato da Leonardo, nel ruolo che invece è stato assegnato a Cingolani. Le Borse oggi saranno un buon indicatore del gradimento rispetto a queste nomine.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.