Ha negato di aver volutamente scaraventato giù dal balcone al terzo piano il piccolo Samuele, ammettendo però di esser stato lì col bambino, tenendolo in braccio. Sono le prime parziali ammissioni di Mariano Cannio, 38 anni, domestico fermato dalla polizia di Napoli perché  ritenuto gravemente indiziato dell’omicidio del piccolo Samuele, il bambino morto dopo essere precipitato da una altezza di 15 metri a Napoli.

Durante l’interrogatorio terminato a tarda notte Cannio, difeso da un avvocato d’ufficio, la cassazionista Carmen Moscarella, ha anche confermato di soffrire di disturbi psichici. Il collaboratore domestico della famiglia non ha saputo però spiegare con esattezza come il bambino sia caduto dal balcone.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, con le indagini condotte dagli agenti del commissariato di Polizia San Carlo-Arena e dalla Squadra Mobile della Questura di Napoli, Cannio avrebbe approfittato di un momento di distrazione della madre, all’ottavo mese di gravidanza, per prendere Samuele e lanciarlo dal balcone al terzo piano della palazzina all’angolo tra tra via Foria e via Giuseppe Piazzi.

Una svolta clamorosa quella arrivata questa mattina: nessuno nella giornata di ieri, quando poco prima delle 13 è avvenuta la tragedia, aveva delineato la possibilità di un omicidio dietro la morte del piccolo Samuele. 

Il bambino, 4 anni compiuti ad aprile, è morto dopo il trasporto d’urgenza all’ospedale Pellegrini. Inutile la corsa dell’ambulanza, scortata da agenti motociclisti della polizia: troppo gravi infatti le ferite riportate precipitando da 15 metri di altezza.

Cannio, incensurato e seguito da un centro di igiene mentale, è un collaboratore domestico molto conosciuto nella zona dove peraltro abita, riferisce l’Ansa, e aveva accesso alle abitazioni di diverse famiglie del quartiere che si fidavano di lui.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia