C’è un paradosso tutto italiano nel caos sulla riapertura delle scuole. E cioè che gli istituti riapriranno prima nelle regioni che finora erano state additate come principali focolai di Coronavirus e solo in un secondo momento nelle località che sembravano aver archiviato la “pratica Covid” in modo più rapido ed efficace. Il che rischia di rivelarsi un boomerang per quei governatori, come Vincenzo De Luca, che, dopo aver presentato la propria amministrazione come modello di efficienza nella gestione della pandemia, si trovano ora a dover fare i conti con una nuova impennata dei contagi e con la difficoltà nel riaprire gli istituti in sicurezza.

Passando in rassegna i calendari, il primo a far tornare gli alunni in classe, lunedì prossimo, sarà il Trentino-Alto Adige. Una settimana più tardi le lezioni riprenderanno nel resto del Nord e in buona parte del Centro. È il caso di Veneto, Piemonte, Lazio. Addirittura la Lombardia, che finora ha pagato il prezzo più alto in termini di contagi e vittime del Covid, è orientata a riaprire le scuole per l’infanzia già da lunedì prossimo e gli altri istituti dal 14 settembre. La prima campanella, invece, suonerà non prima del 24 nelle regioni che sembravano aver incassato meglio di altre i colpi del virus. Tra queste la Basilicata, per lungo tempo Covid-free, e la Campania, dove ieri il governatore De Luca si è arreso davanti all’impossibilità di riaprire le scuole in sicurezza il 14 settembre.

Il numero uno di Palazzo Santa Lucia aveva persino paventato la possibilità di un anticipo, nel timore di perdere la precedenza sulle altre regioni che attendono la fornitura dei nuovi banchi monoposto. Il cortocircuito, dunque, è evidente: al Nord, dove la pandemia si è rivelata più aggressiva, ci si prepara a tornare in classe; al Sud, dove il sistema sanitario ha retto all’onda d’urto del Covid, le scuole non sono ancora pronte ad accogliere gli alunni e il personale. Che cosa vuol dire tutto ciò? Innanzitutto significa che per l’istruzione si è perso tempo. Dalla fine del lockdown, datata 4 maggio, il Ministero e le Regioni hanno brancolato nel buio, non sono state in grado di fornire indicazioni precise e di predisporre quanto necessario per far sì che alunni e personale tornassero in classe senza correre il rischio di contrarre o di veicolare il virus.

Detto ciò, il flop è ancora più evidente per quelle regioni in cui tutto sembrava sotto controllo, come la Campania. De Luca ha minacciato di usare il lanciafiamme contro gli studenti intenzionati a organizzare feste di laurea durante il lockdown. Non ha usato nemmeno un cerino, però, nei confronti delle migliaia di insegnanti che hanno finora rifiutato di sottoporsi a test sierologico ostacolando, di fatto, la mappatura dei contagi e la riapertura in sicurezza delle scuole. Di qui lo slittamento del ritorno in classe che equivale ad ammettere che la situazione non è sotto controllo come si è tentato di far credere. E, se la situazione della scuola non è sotto controllo, vuol dire che tanto il sistema dell’istruzione pubblica quanto quello della sanità stanno mostrando tutte le loro falle.

Altrove, invece, gli stessi problemi (anzi, più gravi) che affliggevano la Campania sembrano essere stati risolti in tempo per il ritorno in classe. Il che significa che, in quelle località, le amministrazioni si sono rivelate più efficienti. Oppure che la situazione sanitaria era più grave dalle nostre parti, a differenza di quanto non si sia voluto ammettere finora. A ogni modo, è il caos. Che non fa bene all’Italia, al Sud, alla Campania.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.