Sono passati 63 anni da quando il Niger è diventato indipendente. Era il 3 agosto del 1963, e Niamey si sganciò dall’Africa occidentale francese. Sei decenni dopo l’anniversario ha assunto un valore simbolico notevole, dal momento che il golpe contro il presidente Mohamed Bazoum, deposto dalla guardia presidenziale, si è rivelato – almeno per il momento – anche un colpo agli ultimi legami del Niger con l’ex potenza coloniale.

La Francia è stata il primo bersaglio della propaganda dei golpisti, con i manifestanti che hanno anche assaltato l’ambasciata transalpina subito dopo l’annuncio della destituzione. E questo schema “anticoloniale” si è inserito in un’altra partita, questa volta geopolitica, tra Occidente e Russia. La Wagner, la compagnia di contractors di Evgenij Prigozhin, ha sostenuto subito il putsch contro Bazoum perorando l’idea della rivolta contro il vecchio impero francese.

E se il Cremlino al momento non dà alcuna legittimazione nei confronti del nuovo regime, gli analisti concordano sul fatto che il Niger possa rappresentare l’ultima tessera di un mosaico del Sahel sempre più proiettato verso Mosca.

Dopo i golpe in Mali e Burkina Faso sempre con un carattere antifrancese e con la presenza della Wagner in Repubblica centrafricana e nel Sudan in piena guerra civile, il Sahel è di fatto nel caos e con un baricentro di alleanze che guarda sempre più verso Oriente. L’Oriente però ha due grandi attori, legati da una “alleanza senza limiti”, in cui uno appare in realtà ben più forte dell’altro. Uno è la Federazione Russa che, come detto, sembra indubbiamente il protagonista di questa transizione geopolitica dell’Africa occidentale (e non solo).

L’altro è la Cina, attore silente e apparentemente distaccato rispetto a questa fase di instabilità del Sahel. Tuttavia, nel solco di quella vox populi che difficilmente sbaglia, l’apparenza inganna. E forse anche in questo caso conviene dare fiducia ai vecchi proverbi. Perché se è vero che la Repubblica popolare cinese ha evitato di entrare a gamba tesa nel caos nigerino, il silenzio di Xi Jinping non deve far credere che alla potenza asiatica non interessi il Paese africano. Anzi, come sottolineano diversi media internazionali, vale la pena ricordare che la Cina è il secondo investitore straniero in Niger proprio dopo la Francia.  La quale però, come noto, vanta con Niamey un passato coloniale e una partnership molto più consolidata anche successiva all’indipendenza.

A questo proposito non va dimenticato il fatto che proprio poco prima del golpe, e cioè tra fine giugno e inizio luglio, la Repubblica del Niger – peraltro attraverso gli account social ufficiali della presidenza – aveva dato l’annuncio di incontri di altissimo livello tra la leadership del Paese e diversi funzionari cinesi per confermare i rapporti sempre più solidi e che riguardavano progetti economici e infrastrutturali in settori-chiave del Niger.

Il primo di questi post faceva riferimento a un incontro che si era tenuto il 27 giugno 2023 tra una delegazione della National Uranium Company of China, guidata dallo stesso presidente della compagnia asiatica, il ministro delle Miniere, Ousseini Hadizatou Yacouba e con la presenza dello stesso Bazoum per l’acquisizione della Société des Mines d’Azelik (Somida), azienda di cui i cinesi erano già azionisti di maggioranza. Il 3 luglio un altro tweet segnalava la sottoscrizione di un accordo per un parco industriale nei pressi della capitale, Niamey, da parte della Repubblica popolare cinese. Ad annunciare l’accordo – anche in questo – il presidente nigerino, che aveva appena incontrato l’ambasciatore di Pechino nella repubblica africana.

Questi accordi sono solo l’ultima parte di una lunga serie di contratti e di investimenti effettuati dalla Cina in Niger. Da più di un decennio il Dragone è presente nello Stato del Sahel con investimenti nel settore petrolifero. Inoltre, come raccontato da Reuters, nel 2019 era stato firmato un accordo tra i due governi per la realizzazione di un oleodotto per trasportare 90mila barili di petrolio nigerino dai giacimenti di Agadem al terminal di Cotonou, in Benin. Tutti elementi che, se messi a sistema con gli investimenti nel più sensibile settore dell’uranio, rendono evidente come Pechino sia fortemente interessata a comprendere quanto accade in Niger e soprattutto a evitare che la destabilizzazione metta a repentaglio i miliardi di dollari versati in un continente, l’Africa, che da anni è in cima ai piani strategici di Xi.