Minimizza, o almeno ci prova, Marco Bianchi imputato con l’accusa di omicidio volontario di Willy Monteiro Duarte insieme al fratello Gabriele, a Mario Pincarelli e Francesco Belleggia: “Ero preoccupato per il mio amico, mi sono trovato Willy davanti a lui e l’ho colpito, ma con un calcio laterale, non al petto. E poi lui si è rialzato”. Il più giovane dei due fratelli esperti di Mma parla per primo tra i quattro imputati oggi in aula per l’udienza del processo nell’aula di corte d’Assise a Frosinone, alla ricerca di una spiegazione sul suo ruolo nei fatti di quella sera a Colleferro.

Bianchi rifugge dal profilo tracciato dalle precedenti testimonianze che lo inquadrano come un picchiatore abituale, incline alla violenza, allo spaccio e prova a dare un’immagine diversa di sé: “Sono un ragazzo semplice, lavoravo al bar di mio fratello (il terzo dei fratelli Bianchi, non indagato, ndr), e ho sempre fatto sport. Se avessi colpito Willy nel modo che viene detto, mi sarei preso le mie responsabilità”.

Dal racconto in aula emerge anche la sua adolescenza e il rapporto con i presunti complici: “Ho conosciuto Francesco e Mario alle scuole medie, poi ognuno ha cambiato istituto e da lì non ci siamo più visti. Una semplice amicizia, ogni tanto li incontravo ad Artena, poi quando mio fratello ha aperto il locale Belleggia ha iniziato a venire. Ci sentivamo, veniva a casa mia, nonostante dopo i fatti lui abbia dichiarato che non fossimo amici. Così con Mario, anche lui veniva al ristorante”.

Nell’aula della Corte di Assise del Tribunale di Frosinone, dove nella nuova udienza del processo per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il 21enne ucciso a Colleferro la notte tra il 5 e il 6 settembre dello scorso anno, si raccolgono ancora testimonianze per delineare più precisamente il quadro degli eventi avvenuti, ci sono tutti e quattro gli imputati, nelle celle di sicurezza, e la mamma e la sorella della vittima.

I fratelli Marco e Gabriele al loro arrivo si sono abbracciati e sono rimasti seduti uno accanto all’altro. Vicino a loro Mario Pincarelli. Scortato dagli agenti della polizia penitenziaria, invece, Francesco Belleggia, unico ai domiciliari. “Ho sempre praticato il mio sport, la disciplina dell’Mma, da quando avevo 9 anni. Una passione di famiglia, visto che il maestro era mio zio, e che volevo fare come lavoro. Una semplice vita la mia, tra casa, amici e palestra”.

Bianchi continua: “Prima di iniziare a lavorare al ristorante mi arrangiavo ma in nero, ho sempre lavorato. Lo sport che praticavo – racconta al pm Giovanni Taglialatela – è uno sport come tutti gli altri, con delle regole. Mi chiamavano ‘Maldito il maledetto’, ma senza un significato preciso, ero un nome come tanti”.

“Quando sono andato a Colleferro e ho visto il gruppo di persone, mi sono agitato perché credevo che il mio amico stesse litigando, ho colpito Willy perché era lì fermo davanti a Omar (Sahbani, ndr). Conosco le conseguenze di un calcio al petto, non mi sarei mai permesso”, continua Mario Bianchi, “Ho reagito male, mi sono agitato pensando fosse il mio amico ad essere in difficoltà. Ho spinto e colpito Willy, ma si è subito rialzato. Così, accertato che il mio amico non c’entrava nulla, sono uscito dai giardinetti e sono andato verso la macchina. Con la confusione di tutte quelle persone ho visto il ragazzo a terra, aggredito, ma non immaginavo fosse successo qualcosa di grave a quel ragazzo – sottolinea – non sarei mai ripartito”.

“Quando siamo risaliti in macchina siamo tornati verso il ristorante di mio fratello, Belleggia si è intrufolato in auto, Pincarelli non è salito con noi. Omar (Sahbani, ndr) accusava e insultava Belleggia per aver colpito quel ragazzo senza motivo. Quando siamo arrivati ad Artena ho detto a tutti di prendersi le proprie responsabilità”. “Omar era arrabbiato anche con Pincarelli per la discussione avuta precedentemente al locale ‘due di picche’. Mario (Pincarelli, ndr) secondo quanto diceva Omar – continua Marco Bianchi – ha colpito Willy con due colpi precisi, uno quando era in piedi l’altro quando era a terra, anche con tre, quattro colpi sul petto“.

“Quando i carabinieri ci hanno detto di andare in caserma ero ignaro di tutto. Pensavo fosse unicamente per chiarire cosa fosse accaduto ma mai e poi mai avrei immaginato quello che poi abbiamo saputo l’indomani mattina”. “Siamo andati insieme, io, mio fratello Gabriele, Francesco (Belleggia, ndr) e Vittorio (Tondinelli, ndr). Mario (Pincarelli, ndr) ci ha raggiunto dopo. Non sono un mostro come mi hanno descritto, ho sempre detto la verità, a differenza di altri – dice sempre Marco Bianchi al pm Taglialatela – Se sbaglio pago, non ho paura della galera. Sono uno che ammette sempre le proprie responsabilità”.

“Ho sempre detto la verità, ma non sono mai stato creduto. È morto un ragazzo, ma se lo avessi colpito in modo grave non me ne sarei mai andato, lasciandolo lì. Mi rivolgo ai familiari di Willy, se avessi sbagliato lo ammetterei”. “In un anno e 4 mesi si è parlato solo di noi – dice il 25enne di Artena – Siamo stati fatti passare per mostri, si parlava solo dei fratelli Bianchi. Qualsiasi cosa dicevamo venivamo attaccati. Ma ero sicuro che da esame del Dna e dopo la perizia sarebbe uscita la verità, perché a Willy ho dato solo una spinta e un calcio al fianco

 

 

 

Riccardo Annibali

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