Nuovo Cinema Tajani. Siamo a Milano, il leader di Forza Italia si trova nel capoluogo lombardo per una conferenza stampa congiunta con Letizia Moratti, che diventerà presidente della Consulta della segreteria nazionale del partito azzurro. Il ministro degli Esteri risponde alle domande dei giornalisti e descrive una realtà parallela. Una riedizione dei cosiddetti “fatti alternativi” di trumpiana memoria, ma declinati in relazione alla situazione del movimento fondato nel 1994 da Silvio Berlusconi. Ecco Tajani: “Mi dicono dall’organizzazione del tesseramento che addirittura abbiamo abbondantemente superato i 100.000 iscritti e siamo quasi a 110.000, quindi vuol dire che c’è grande interesse nei nostri confronti”. Peccato che gli iscritti a Fratelli d’Italia siano ormai più del doppio, stando ai dati del 2022. Con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi è facile prevedere un ulteriore slancio per il tesseramento del partito della Fiamma nell’anno che sta per finire. Non male per una forza politica che fino a qualche anno fa navigava intorno al 4% dei consensi.

Un confronto impietoso con Forza Italia, il partito fondatore del centrodestra e per anni leader della coalizione che una volta era quella dei moderati italiani. In realtà, dunque, i “fatti alternativi” di Tajani sono solo la fotografia del malinconico declino degli azzurri. Una picchiata verso la dissoluzione che, inevitabilmente, sta procedendo a ritmi più serrati dopo la morte del fondatore, Silvio Berlusconi. Eppure adesso il vicepremier del governo Meloni si consola con la Consulta, l’organismo interno presentato ieri a Milano. Un tentativo di allargare gli orizzonti di Fi alla mitologica “società civile”. E poi l’altro premio di consolazione: l’ingresso, anzi il ritorno, di Moratti tra le fila del partito. Non proprio un volto nuovo. Senza dimenticare che tre dei quattro eletti della lista civica Moratti in Lombardia non hanno deciso di seguire la loro leader e sono rimasti all’opposizione di Attilio Fontana al Pirellone.

Insomma, l’ottimismo ostentato di Tajani stride con la realtà che si vive dentro Forza Italia. Un partito senza una guida, senza soldi, senza idee e senza volti nuovi. L’ultima dimostrazione di questa dinamica alquanto stagnante la possiamo vedere con la nomina del capogruppo a Palazzo Madama. Fuori Licia Ronzulli, dentro Maurizio Gasparri. Con Ronzulli che diventa vicepresidente del Senato al posto dell’ex missino. Una manovra interna di Tajani e Meloni che ha una duplice ragione. La prima è quella di provare a schermare l’ex ministro delle Telecomunicazioni dalle polemiche sul suo incarico (non comunicato al Parlamento) in una società di cyber security e da un’inchiesta di Report sul tema. Più facile difendersi da capogruppo che non da una tribuna istituzionale come quella di numero due di Palazzo Madama. E poi c’è la volontà politica di blindare Forza Italia su posizioni meloniane.

Ronzulli, infatti, è in rotta con la premier. Gasparri, di contro, viene da una tradizione di destra (prima l’Msi e poi Alleanza Nazionale). D’altronde il neo capogruppo di Fi si è distinto sempre negli anni per la difesa delle lobby di tassisti e balneari più che per le battaglie di stampo liberale. Una strategia, quella di Tajani, volta a puntellare i vertici del partito con esponenti a lui vicini. La mossa al Senato, infatti, è speculare alla sostituzione alla presidenza del gruppo alla Camera di Alessandro Cattaneo con il tajaneo-meloniano Paolo Barelli. Movimenti utili a blindare la leadership del vicepremier di Meloni in vista del congresso nazionale del prossimo febbraio. Il problema è che Tajani rischia di trovarsi a capo di un partito vuoto. Oltre alle idee e ai volti, mancano soprattutto i soldi. Fi è la forza politica italiana con i conti più disastrati. Conta 99 milioni di euro di debiti, un disavanzo di esercizio di 340mila euro e un disavanzo patrimoniale di 106 milioni. Per il momento provvederanno alla sopravvivenza del partito gli eredi di Berlusconi. Dopo il probabile flop alle europee non si sa.