Nuovo giro di tavolo, nuova marcia indietro. Aveva cominciato stupendo il mondo con la coerenza dei propri annunci e con il varo di ordini esecutivi diretti, seppur contestati. Ha continuato cancellando, ritirando o sospendendo quegli stessi provvedimenti presi poco più di un mese fa, il 2 aprile. Sui dazi imposti a mezzo mondo, Donald Trump al momento ha raccolto solo un pugno di mosche. L’ultimo stop è avvenuto nella giornata del 12 maggio. Dopo 48 ore di trattative, infatti, Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un’importante “tregua” sulla guerra delle tariffe commerciali che proprio l’inquilino della Casa Bianca aveva cominciato 40 giorni fa in quello che, non senza retorica, aveva definito il “Liberation Day”.

Il patto Usa-Cina

I termini del patto sono importanti. Washington e Pechino si impegnano a ridurre i dazi reciproci di ben 115 punti. Gli Stati Uniti ridurranno i dazi sulle importazioni cinesi dal 145% al 30%, mentre la Cina abbasserà le tariffe sui beni americani dal 125% al 10%. Questa riduzione sarà in vigore per un periodo iniziale di 90 giorni, durante il quale proseguiranno le trattative per un accordo più ampio. Ancora, entrambe le parti hanno concordato di sospendere temporaneamente una parte significativa delle tariffe aggiuntive imposte negli ultimi mesi, mantenendo comunque alcune aliquote ridotte durante il periodo di sospensione.

È stato istituito, inoltre, un meccanismo per continuare le discussioni sulle relazioni economiche e commerciali, con incontri che potranno svolgersi alternativamente in Cina, negli Stati Uniti o in un Paese terzo, guidati dal vicepremier cinese He Lifeng e dal segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent, insieme al rappresentante per il commercio Jamieson Greer. Le due nazioni mirano a raggiungere un’intesa più completa che affronti questioni strutturali come l’accesso al mercato, la protezione della proprietà intellettuale e il riequilibrio della bilancia commerciale.

Le reazioni

Quella con la Cina è solo l’ultima sospensione in ordine di tempo sulle tariffe commerciali. Altri stop ai dazi aggiuntivi ci sono stati per Canada, Messico, Unione europea, per l’import delle componenti di auto e di farmaci. Ciò che dalla Casa Bianca non viene detto è che nessuno dei business partner americani si era dichiarato contrario agli accordi. Anzi, dal giorno dell’insediamento nello scorso gennaio, tutte le nazioni si erano dette disposte a collaborare e trovare accordi con The Donald. La propaganda interna e l’idea di mostrarsi forte però hanno condizionato i rapporti commerciali, ed ecco il motivo per il quale siamo arrivati alla firma dei dazi del 2 aprile, ridimensionati o ritirati nei giorni successivi.

La cosa più interessante è che gli Stati Uniti non hanno guadagnato assolutamente nulla da questa politica di annunci, di stop and go. Anzi, hanno perso miliardi in capitalizzazioni di Borsa, hanno reso il dollaro americano più debole e si è quasi terremotato il debito pubblico a stelle e strisce. Senza contare la contrazione del Pil nel primo trimestre a -0,3%.

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