Ci stiamo commuovendo per la bellissima Resistenza ucraina che vediamo giustamente come qualcosa che fa rinascere l’Europa e rivitalizza il senso dell’Occidente democratico. Il problema della democrazia e del diritto sono strettamente connessi alla pace. Non c’è pace possibile nell’equidistanza tra chi è costretto a usare la forza per difendersi e per affermare il diritto contro chi la usa per violarlo. Non si può non aiutare in ogni modo una popolazione che resiste a un’invasione militare da parte di una potenza nucleare preparando delle molotov nei giardini pubblici delle città assediate.

In un suo intervento di molti anni fa, un autentico nonviolento e amico, Roberto Cicciomessere, esprimeva la consapevolezza delle contraddizioni difficili del nonviolento di fronte alla scelta dell’uso della forza «ma da laico non credo che la verità passi attraverso le granitiche coerenze e le granitiche certezze. Come laico era il Mahatma Gandhi quando, in occasione della seconda guerra mondiale, viveva sicuramente il dramma del suo essere nonviolento e nel contempo la sua profonda convinzione di non poter alzare un dito per impedire che gli indiani combattessero contro il nazismo. Non per questo ha smesso di professare e di praticare la nonviolenza». E proseguiva dicendo che riconoscere la necessità dell’uso della forza per fermare un’aggressione non gli avrebbe impedito di continuare a professare e di praticare la nonviolenza, di rivendicare il suo antimilitarismo, di affermare che la guerra è sempre un crimine contro l’umanità, che i mezzi devono essere adeguati ai fini e che anche le cosiddette “guerre giuste” lasciano dietro di sé non solo l’ingiustizia dei morti incolpevoli, ma la mortale convinzione che la guerra sia una continuazione della politica. «Ma soprattutto non smetterò di rischiare anche l’incoerenza per tentare di guadagnare un millimetro alla speranza di costruire un mondo dove nessuno sia più costretto a morire per affermare giustizia».

Con la decisione del nostro governo su mandato del Parlamento a larghissima maggioranza, di inviare missili anti aerei, anticarro, mitragliatrici e munizioni non si sta negando il valore della via diplomatica, dei tavoli di negoziato, della politica (come dicono alcuni), si sta prendendo atto di una invasione militare in corso che presenta una tragica sproporzione di forze di fronte alla quale non si può non sostenere chi, aggredito, prova disperatamente a non soccombere. Nel fornire questo sostegno le democrazie devono certamente ponderare ogni azione anche sulla previsione responsabile delle conseguenze di tali azioni. E contrapporre alla violenza della tirannia un complesso di iniziative.
L’avvio, da parte del procuratore della Corte penale Internazionale, di una indagine in merito a presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi sul territorio ucraino; il sì all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea, processo non immediato ma dall’enorme valore politico; l’attivazione di un programma e delle procedure straordinarie previste dal diritto europeo per l’accoglienza dei profughi e il riconoscimento dello status di rifugiati.

E poi far arrivare con quanta più forza e mezzi possibili un messaggio ai cittadini russi: la Nato, l’Europa e l’Occidente non hanno minacciato e non intendono affatto minacciare la Russia, ciò che Putin vive come una minaccia è invece l’aspirazione alla libertà, alla democrazia e al benessere economico del popolo ucraino e in particolare dello stesso popolo russo. Ed è per continuare a negare ai cittadini russi le libertà civili, politiche ed economiche, è per continuare a negare l’autodeterminazione dei popoli, che Putin ha invaso l’Ucraina. Tutte queste sono azioni politiche per la costruzione e l’affermazione della democrazia e del diritto, rappresentano la costruzione della pace che altrimenti rischia di essere un’astrazione retorica.