Sparita la pagina Io, professione mitomane sui social network. Chiusa sia su Facebook che su Twitter. La pagina  satirica aveva raggiunto un ampio numero di follower. Gli admin hanno fatto sapere: “Nessuna censura nessuna segnalazione. Abbiamo chiuso la pagina e basta perché era diventato faticoso seguirla”. Il caso ha suscitato un vivace dibattito sui social network e tra i giornalisti.

La pagina era nata per stigmatizzare e mettere in ridicolo la mitomania nel settore dei media, del giornalismo, dell’editoria anche. E quindi una condanna e una parodia dello storytellyng e del narcisismo dilagante nelle categorie menzionate. Un intento sicuramente centrato e anche giusto. Il suo manifesto: “Salviamo il giornalismo dalla mitomania dei giornalisti e il mondo della comunicazione dalla mitomania dei comunicatori. È un lavoro sporco, ma qualcuno dovrà pur farlo [pagina satirica]”. Deus ex-machina della pagina il giornalista de Il Fatto Quotidiano Andrea Scanzi. La partecipazione – i post venivano segnalati da follower e utenti – era diventata così rilevante che il collettivo aveva persino dato vita a dei contest, sempre satirici, come la coppa Scanzi, appunto, vinta dal giornalista e scrittore Lorenzo Tosa.

Quel primo proposito era però degenerato dopo qualche tempo. La pagina era diventata a tratti anche un coacervo di frustrazione, avvilimento, attacchi spesso esagerati e anche gratuiti. Spesso e volentieri è stato definito come un luogo di mediocrità e avvilimento concentrati in un esercizio di discredito se non proprio di gogna pubblica. La pagina effettivamente ha preso qualche granchio. Qualcuno anche di non poco rilievo. E infatti è nata da questa anche una pagina satirica della pagina satirica: Io, professione “io, professione mitomane”. Che dopo la notizia della sospensione ha osservato ironicamente: “No. Non abbiamo fatto chiudere noi IPM. E che siamo, la Polizia dell’internet?”

Le ragioni della chiusura in un testo dello stesso collettivo. “Uno dei problemi principali è stata la gestione dei commenti – hanno scritto – Puntualmente nei post senza il nome degli autori della ‘mitomanata’ […] si scatenava la ricerca dell’autore. ‘Diteci il nome’, ‘chi è?’, erano richieste molto gettonate. Il punto non era scovare il colpevole e colpire i singoli, ma renderci conto che i mitomani siamo noi, siamo tutti, nessuno è al riparto proprio a causa degli istinti naturali su cui fanno leva i social, ci cascano il grande scrittore come il giornalista precario di provincia. ‘Io, professione mitomane’ in fondo era uno specchio, doveva essere uno specchio, un’autocritica”.

Il post, molto lungo, è stato pubblicato dalla pagina L’Intellettuale Dissidente, offre diversi spunti di riflessione sia sui social network che sul mestiere di giornalista, e continua: “Ironia e autoironia sono merce rara, ma anche quando qualcuno mostrava di averla avuta – è il caso ad esempio di Bazzi – si scatenava comunque una canea. In pratica era impossibile uscirne con onore. E non ci sentivamo più di portare avanti questa responsabilità. Le segnalazioni di egoriferiti che ci arrivavano erano decine al giorno. Il tema della “mitomania” quindi c’era tutto, ma alla lunga questa esibizione di sé e il volerla rilanciare per metterla alla berlina (l’esibizione, non la persona!) provoca un senso di nausea e sopraffazione. Si ride una volta, dieci, cento, poi si sprofonda nella tristezza”.

E quindi un ultimo passaggio: “Siamo convinti di aver lanciato un sasso nello stagno rispetto ai meccanismi autorefenziali dei social, del giornalismo e anche della politica. Deformano la qualità delle relazioni umane, la natura e il ruolo fondamentale del giornalismo e la forza più profonda dei propri ideali. Pensiamo di esser riusciti a fare spesso una satira non banale e contemporaneamente non incattivita. Clic”.

Antonio Lamorte

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