Segnatevi questa data, 18 maggio 2022. Quando, tra un po’ di tempo andremo a scrivere la storia particulare, come la definiva Guicciardini, di questa pazza e incredibile legislatura, vedremo che avrà un ruolo chiave. Come il 20 agosto 2019 – la crisi del Conte 1 – il 5 marzo 2020 – l’inizio del lock down – il 23 gennaio 2021 la fine del Conte II e il 24 febbraio 2022, l’invasione dell’Ucraina. Fatte le dovute differenze, ieri mattina è successo un testa coda destinato a pesare sul proseguimento della legislatura e delle alleanze. E, forse, anche di quella successiva. Dopo settimane di contorsioni in Commissione Affari esteri al Senato, il Movimento 5Stelle è riuscito a perdere la presidenza della Commissione, a “cederla” ad una figlia d’arte (certamente in politica estera) come Stefania Craxi, a consegnare la prima presidenza di Commissione a Forza Italia e a dichiarare la propria inadeguatezza al momento storico che stiamo vivendo.

Giuseppe Conte, che del Movimento è il leader, ha certificato il proprio quarto insuccesso personale a livello parlamentare nei suoi primi dieci mesi di mandato. I primi due hanno riguardato il tentativo di avere propri fedelissimi alla guida dei gruppi di Camera e Senato per controllare meglio le dinamiche parlamentari. È andata male: al Senato fu eletta Maria Domenica Castellone e alla Camera è stato confermato Davide Crippa, entrambi legati a Di Maio. Il terzo insuccesso è stato durante la settimana quirinalizia: giocando di sponda con Salvini, cercò di smarcarsi da Letta, e di mettere il cappello sulla “prima candidata donna” nella persona della capa della nostra intelligence Maria Elisabetta Belloni: è finita male anche questa. Il quarto insuccesso è quello di stamani: ancora una volta ha peccato di autosufficienza, non è stato umile, ha preteso di mantenere la guida 5 Stelle della Commissione dopo due mesi di terremoto provocato dalle posizioni filorusse dell’ex presidente Vito Petrocelli. E anche di decidere il nome del successore.

Quello di Petrocelli è stato un crescendo insostenibile per un partito di governo: prima il voto contrario al decreto Ucraina, poi un curriculum vitae ricco di manifestazioni di simpatia e reale appoggio politico al regime di Putin fino a quella Z insopportabile alla vigilia della Festa della Liberazione. Conte ha provato a cacciare il compagno Petrov dal ruolo e dal gruppo. Ma senza successo. Hanno dovuto far dimettere tutta la Commissione per poter procedere ad una nuova elezione. Le figuracce sono continuate, un’alluvione inarrestabile. Il nuovo candidato doveva essere Gianluca Ferrara, il senatore che gli stessi grillini consideravano troppo vicino a Petrocelli e quindi unfit per la presidenza. Nello scorso fine settimana erano saltati fuori due nomi: Ettore Licheri, fedelissimo di Conte, e Simona Nocerino, fedelissima di Luigi Di Maio. È stato scelto Licheri. E, in un gioco di cui è solo una pedina, è stato mandato al massacro. Il senatore, ex capogruppo, ha ottenuto 9 voti. Di chi siano, è fiction visto che il voto è segreto. La commissione conta 22 membri: 5 M5s, 4 Lega, 3 Pd, 3 Fi, 2 centristi che in genere votano col centrodestra, uno di Fratelli d’Italia, uno di Italia viva (Garavini è stata sostituita da Cucca), il comunista ex 5 Stelle Dessì, Pierferdinando Casini e il senatore a vita Mario Monti. Stefania Craxi ha ottenuto 12 voti. Poiché c’è un solo astenuto (Casini), Conte ha provato ad aprire subito la caccia al traditore. Ma si è fermato perché il rischio di trovarselo in casa è alto.

Simona Nocerino, la candidata costretta al ritiro che probabilmente avrebbe raccolto la maggioranza, parla di “delusione”. “Il nostro obiettivo era tenere la Presidenza. È stata fatta questa scelta (Licheri, ndr), è stata portata avanti ma non è stata vincente. Più che di delusione parlerei di dispiacere”. Una Caporetto grillina. “Con me in campo le cose sarebbero andate diversamente? Dicono di sì, ma io non posso saperlo. Non c’è la prova del 9”. Quella che Nocerino non può dire è che per risolvere la grana commissione Esteri c’era una sola possibilità, mai affrontata realmente. All’indomani dello sfratto di Petrocelli, i senatori 5 stelle hanno preferito cominciare la guerra tra loro, ignorando completamente i numeri della commissione. La prima preoccupazione grillina è stata quella di eliminare il loro capogruppo uscente Gianluca Ferrara, presentandolo come il gemello diverso di Petrocelli. Escluso lui, è iniziato il confronto muscolare tra la dimaiana Nocerino e l’uomo di tutte le più recenti sconfitte, il sardo Ettore Licheri. Il tutto mentre già dalla settimana scorsa era evidente che all’ombra dello scontro fratricida dentro il M5S, crescevano i numeri a disposizione di Stefania Craxi.

A quel punto qualcuno avrebbe dovuto calare l’asso che avrebbe potuto mettere d’accordo tutti. Anzi due assi: Pierferdinando Casini o Luigi Zanda. Un tentativo che non è mai stato neanche provato. Si arriva così alla notte agitata di Conte, che resosi conto del pericoloso impasse, pare sia ricorso all’estremo tentativo di verificare la disponibilità di Pierferdinando Casini e di Mario Monti. Ma non per offrire a uno dei due la Commissione bensì per votare Licheri. Ancora ieri mattina alcuni funzionari del Pd sembravano certi della vittoria di Licheri, grazie ai voti di Monti e del senatore Di Micco del gruppo Misto. Non è andata così. Casini, annusato il Vietnam, si è voluto chiamare fuori anche dai sospetti e non ha ritirato la scheda. “Mi rifiuto – ha detto – di concorrere col mio voto alla definitiva disgregazione di una maggioranza in cui nessuno sembra assumersi la responsabilità di una decisione collettiva”.

È successo tutto tra le 9 e le 10 di ieri mattina. La giornata si è poi trasforma in reciproci j’accuse fra le forze di maggioranza. Conte “irritato” – che è un eufemismo – per la situazione ha convocato il Consiglio nazionale straordinario e ha attaccato: “Registriamo che di fatto si è formata una nuova maggioranza che spazia da FdI fino a Iv”. M5s gli ha fatto fa eco: “Registriamo come ormai sia venuto meno anche il più elementare principio di leale collaborazione”. Rivendicano “linearità e chiarezza di comportamenti”. Poi cedono al vittimismo: “Non viene confermata al M5s la Presidenza della Commissione non perché non avessimo un candidato ma per le nostre battaglie politiche volte a prevenire ulteriori e pericolose escalation militari nel rilancio di una prospettiva negoziale concreta per risolvere il terribile conflitto in Ucraina”. Ripetono quello che ormai è un leit motiv di Conte: “Qualcuno ci vuole fuori dalla maggioranza”.

Il segreto dell’urna alimenterà per tutto il giorno retroscena e ricostruzioni. Il punto è che nei corridoi del Senato almeno da una settimana aveva preso quota il nome di Stefania Craxi. A meno che Conte non avesse deciso di mediare e cercare una sintesi con nomi diversi oltre i suo fedelissimo. Non lo ha voluto fare, nonostante consigli e suggerimenti. Osservava ieri un senatore di maggioranza: “Giusto che Conte rivendicasse la presidenza della Esteri, ma certo non con la pretesa di scegliere anche il nome di chi ne sarebbe stato a capo. Gli era stato detto in tutti i modi di cambiare. Non l’ha voluto fare”. Di chi la colpa, allora? Conte punta il dito contro il governo. “Ma quello che è avvenuto ha una dinamica chiaramente parlamentare, il governo Draghi non c’entra nulla” osserva il dem Andrea Marcucci (che non è in commissione Esteri). “Conte sbaglia a chiamare in causa l’esecutivo. Se si voleva perseguire una direzione unitaria, i partiti di maggioranza avrebbero dovuto muoversi subito in questa direzione, c’erano nomi sui quali era possibile trovare una quadra.

Capisco la frustrazione del M5S, ma ora serve lavorare per rimettere in piedi la Commissione Esteri, non bisogna alimentare altre tensioni”. Il senatore Cucca di Italia Viva ha invece votato. “Invece di guardare ai loro scontri interni, i 5 Stelle puntano il dito contro la maggioranza e chi ne fa saldamente parte. La verità è che Conte non ha voluto cedere a Di Maio, sono voluti andare alla conta interna e hanno sbagliato i conti”. E non è stata neppure la prima volta. Vedremo già oggi, con l’informativa di Draghi in Parlamento, la reazione del Movimento.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.