Le tensioni fra Kosovo e Serbia continuano ad affiorare. Sembra quasi che ad Unione europea e Stati Uniti non interessi particolarmente il fatto di stabilizzare la situazione, ma di mantenere questo status quo di instabilità particolarmente difficile.
Il Primo Ministro del Kosovo e il Presidente della Serbia si sono uniti, durante la prima settimana di febbraio, ai membri del Consiglio europeo in una calda discussione incentrata sulle nuove regole kosovare, entrate in vigore il 1 febbraio, concernenti l’uso del dinaro, la moneta serba. Le nuove regole infatti riconoscono solo l’euro come moneta ufficiale del paese, e impongono un divieto nell’uso di dinaro.

Perché questa scelta? Principalmente per rispetto della costituzione kosovara, che nell’articolo 11 stabilisce che la valuta del paese è l’euro. Secondariamente perché il dinaro viene usato principalmente per attività criminali nel Nord del Kosovo, con Belgrado che appoggia e sostiene queste attività e dunque ha tutto l’interesse nel mantenerla in circolazione.
Informando il Consiglio europeo, Caroline Ziadeh, Rappresentante Speciale del Segretario Generale e capo della Missione di Amministrazione Provvisionale delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK), ha spiegato che le nuove regole interesseranno decine di migliaia di kosovari serbi che vivono nei quattro comuni settentrionali e, più in generale, l’economia, che dipende dal loro potere d’acquisto. Ha detto che le misure per vietarlo definitivamente ora, non sono state comunicate e spiegate in modo sufficiente, nonostante il fatto che, dal 1999, il dinaro sia stato la valuta primaria di fatto per le transazioni in contanti e commerciali nelle aree di maggioranza serba nel Kosovo.

Eppure, non è andata proprio così. Questa decisione era nell’aria da anni, e nel Nord del Kosovo si sapeva benissimo che sarebbe arrivato il momento della sua implementazione. Oltretutto, il governo kosovaro aveva informato in anticipo i cittadini kosovari serbi che sarebbe arrivata l’ora. Di fatto, cosa cambia? Che devono cambiare i soldi per poter pagare. Cosa che comunque accade in qualsiasi paese. Nulla di nuovo, dunque.
Aleksandar Vučić, Presidente della Serbia, ha sottolineato che la recente mossa della “cosiddetta Banca Centrale del Kosovo” equivale al regime di Pristina che disabilita direttamente tutte le istituzioni mediche, educative, sociali, culturali e di altro tipo che consentono ai serbi di vivere con un minimo di dignità umana. È ovvio, ha sottolineato, che la creazione di condizioni di vita insopportabili dal regime è un atto di violenza strutturale, intensificando un attacco lungo anni, ben pianificato e sistematico contro la popolazione serba. Ha esortato il Consiglio europeo e la comunità internazionale a intraprendere azioni urgenti per normalizzare la situazione e prevenire ulteriori “persecuzioni dei serbi” del Kosovo. Ha perfino detto che il governo Kurti starebbe compiendo pulizia etnica. Insomma, un discorso basato sulle stesse idee di Putin, con le stesse modalità, senza alcuna prova di quello che dice. E la cosa sconcertante è che Vučić abbia così tanto seguito, nonostante sia chiaro il suo uso della propaganda russa per portare a termine i propri scopi.

“L’idea che il Kosovo stia conducendo una campagna di pulizia etnica o persecuzione contro la comunità serba è una menzogna”, ha risposto il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, sottolineando che il provvedimento “non fa nulla per vietare o impedire al governo serbo di fornire sostegno finanziario ai serbi in Kosovo”. Pristina non cerca di danneggiare un determinato gruppo di cittadini; piuttosto cerca di proteggerli tutti dalle minacce poste dal crimine organizzato, dal traffico di armi e dal riciclaggio di denaro sporco – tutto ciò basato sulla capacità dei gruppi criminali di ricevere contanti contrabbandati illegalmente, in gran parte attraverso il confine del Kosovo con la Serbia. Per concludere, il governo kosovaro ha cominciato una campagna d’informazione per sollecitare i cittadini kosovari serbi di adattarsi alle nuove regole con facilità.

Il discorso del primo ministro Albin Kurti è stato forte, molto chiaro, e anche personale. Ha infatti citato la sua prigionia – durante il periodo in cui Vucic era ministro della propaganda di Milosevic.
Nonostante ciò, l’altro giorno il primo ministro Kurti ha pubblicato un video per informare direttamente i cittadini kosovari serbi, in cui lui parla in serbo. Non è nuova la sua abitudine di rivolgersi direttamente in serbo ai cittadini. Ma non è scontato: mentre lui parla serbo correntemente e lo usa abitualmente, altri politici kosovari albanesi, non lo sanno o non lo fanno. Quindi le modalità per informare e la volontà del governo di integrare i cittadini kosovari serbi ci sono. Il problema rimane sempre l’informazione e la distorsione della realtà: Unione europea e Stati Uniti, apparentemente per poter tenere la Serbia dalla loro parte, credono alla versione dei fatti serba e non si preoccupano della situazione sul terreno. Questo copione si verifica con qualsiasi tema, sul dinaro si sono incaponiti. Perché? A mio avviso perché la valuta è parte integrante della sovranità di un paese. In nessun paese dell’Unione europea accetteremmo di aver imposta una seconda valuta accanto a quella ufficiale. Eppure, secondo l’UE il Kosovo deve accettare questo. Anche se implica rinunciare a una parte di sovranità ben definita nella Costituzione kosovara.

La domanda che Unione europea e Stati Uniti dovrebbero porsi è la seguente: è davvero il caso di impuntarsi su una questione che serve Belgrado soltanto per poter continuare i propri traffici criminali nel Nord del Kosovo? Non ha più senso sostenere una democrazia vibrante, che sta andando nella direzione giusta e rispetta i valori europei?
A mio avviso, è ora che si smetta con la politica di appeasement nei confronti della Serbia. Sono anni che ci proviamo, sono anni che falliamo – la Serbia rimane partner della Russia e non cambierà sponda. Prima lo accetteremo, prima riusciremo a contrastarla e fare passi in avanti nella politica di allargamento.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.