Pietro Ioia è stato arrestato con l’accusa di aver introdotto in carcere cellulari e droga. Accusa che diventa ancora più pesante perché lui è, o forse è meglio già dire era, il garante dei detenuti del Comune di Napoli. Pochi minuti dopo il suo ingresso in carcere, tempo di pubblicare la notizia e già era un tripudio di accuse nei suoi confronti, di “l’avevo detto io”, e anche di chi ha avanzato le più disparate ipotesi sull’opportunità di delegittimare il ruolo dei garanti dei detenuti. Tutto questo accadeva ben prima che fossero pubblicati i dettagli dell’ordinanza, le intercettazioni e le dure parole dei magistrati che hanno fatto il loro lavoro. Ma a nessuno forse importava perché la sentenza era comunque stata già emessa in pubblica piazza. Come ha scritto Damiano Aliprandi sul Dubbio, Pietro è il “colpevole perfetto”: ex detenuto (22 anni di carcere) per narcotraffico internazionale poi garante dei detenuti con la sua nuova vita, ci ricasca e viene beccato a portare in carcere cellulari e droga. Queste ultime sono sempre accuse che poi dovranno essere dimostrate durante un processo che si fa in tribunale non sui social o in piazza.

Leggere le parole dell’ordinanza ha spezzato il cuore a me e a tanti altri che in Pietro hanno sempre riposto fiducia, speranza. A lui hanno affidato lacrime e dolore, chiesto consiglio e avuto supporto che lui non ha mai negato a nessuno. Quella che ha pervaso tra molti è stata una sensazione di smarrimento e di tradimento. Di sfiducia. Non lo so se Pietro è colpevole o no di quello che è stato detto, non spetta a me giudicare. Se verrà accertato che ha sbagliato, pagherà, come ha già fatto. Ma di una cosa sono certa: non bisogna perdere la fiducia nel lavoro che Pietro ha fatto finora con forza, perseveranza ed efficacia. Sono stata al suo fianco in svariate occasioni, che abbiamo raccontato su questo giornale, e ho visto e conosciuto bene la determinazione che lo portava ad agire da garante, gratis et amore dei. Il piglio di chi conosce bene il carcere perché lo ha vissuto, ha conosciuto le ingiustizie come la “cella zero”, di chi sa come si ci sente se hai qualcuno a cui vuoi bene chiuso in carcere e sai che per qualche motivo sta soffrendo.

Forse è proprio questo a renderlo così speciale, così empatico nelle battaglie, così umano, forse troppo umano, come un uomo che può sbagliare. Nelle sue battaglie non mentiva, era serissimo nel farlo, come serie e indiscutibili sono le cose che è riuscito a realizzare per i detenuti e le loro famiglie. Non dimentichiamo che, tra le altre cose, è stato proprio lui, insieme a Emanuela Belcuore , la garante di Caserta, e Samuele Ciambriello, il garante regionale, a far emergere la drammatica situazione dei pestaggi di Santa Maria Capua Vetere. E per questo non bisogna smettere di credere nel lavoro dei garanti, dei volontari che portano il loro contributo in carcere. A Napoli i familiari dei detenuti e i detenuti stessi hanno perso un punto di riferimento forte solo finché non ci sarà un nuovo garante. Ma per un carcere che sia davvero rieducativo e vivibile, non bisogna gettare la spugna e bisogna continuare ad avere fiducia, a credere nelle istituzioni e denunciare le troppe storture che ancora si verificano.

Su questo giornale è stato lui stesso a raccontarci mille volte che chi esce dal carcere trova davvero qualsiasi ostacolo a riprendersi in mano la vita. Tutti ti chiudono le porte in faccia e anche solo riuscire a vivere onestamente è cosa ardua. Anche chi è armato delle più alte intenzioni poi si scontra con la dura realtà. Se le accuse dovessero risultare tutte vere sarebbe certamente gravissimo. Resto certa che dietro ogni azione c’è sempre un motivo, una spiegazione, che questa ci possa piacere o no. “Il carcere è un luogo dove il male fa da padrone e riesce a sporcare anche le più nobili intenzioni, l’ipocrisia regnante in questa istituzione inquina le coscienze e cerca di distruggere l’umano e spesso ci riesce – ha scritto su Facebook Don Franco Esposito, cappellano del carcere di Poggioreale – Esprimo tutta la mia vicinanza a Pietro come a tutti i detenuti in misura cautelare o definitiva per la situazione di sofferenza che si trovano a vivere, prego affinché tutto questo dolore non uccida la speranza in tanti cuori che nonostante tutto continuano a credere nel cambiamento e in una giustizia che non aggiunga male ad altro male. Per quanto mi riguarda continuerò a credere che il bene alla fine vince e che la verità ci farà liberi”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.