È “la notte delle vacche nere”, scriveva Hegel nella prefazione della sua monumentale Fenomenologia dello Spirito. Però, questa volta non si tratta di questioni metafisiche ma del tema, ben più prosaico ma altrettanto ultimativo e divisivo, che riguarda le politiche green dei governi europei e le loro conseguenze.

Il recente e inaspettato blackout spagnolo ha lasciato basito tutto il continente per l’evidente fragilità di un sistema energetico alimentato solo dalle energie rinnovabili. Nonostante la cocciuta intransigenza di Sanchez, che non vuole arretrare rispetto al dogma ecologista, neppure di fronte all’evidenza, appare ormai chiaro che nessun grande paese può esimersi dall’adottare misure che rispondano al pragmatismo piuttosto che al fervore ideologico. Che paga in termini di consenso, forse. Ma che, a conti fatti, è inadeguato al fabbisogno reale. E così l’oltranzismo verde che ha costretto al buio la Spagna diventa motivo di frizione anche tra i laburisti inglesi. Questa volta il siluro in direzione di Keir Starmer e dei suoi piani per l’azzeramento della CO2 arriva niente meno che da un padre nobile del Labour: l’ex premier Tony Blair. Il fidato consigliere del premier britannico oggi dirige il suo think tank, il Tony Blair Institute, e nell’ultimo rapporto dell’Istituto, pubblicato in questi giorni, prende una posizione di netta critica sulla svolta ecologista del Governo. Blair va all’attacco a testa basta nel nome del “people first”, e dice, senza troppo formalismo, che è un grave errore chiedere alla gente «di fare sacrifici finanziari e cambiamenti nel loro stile di vita quando si sa che l’impatto di queste misure sulle emissioni globali è minimo».

La linea

L’eco quasi trumpiano aleggia tra le righe tanto che le sue posizioni richiamano le stesse parole usate dalla leader tories Kemi Bradenoch che con medesimo piglio aveva attaccato il Premier in Parlamento. Blair non si è fermato a un generico appello al buon senso ma ha calato la lama ancora di più nella ferita e, senza possibili fraintendimenti, ha sostenuto che qualsiasi strategia basata sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili è «destinata al fallimento». Punto e capo. E ancora in piena sintonia con la linea dei conservatori. I quali, con realismo e buon senso, sostengono da sempre che gli impegni del governo laburista per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050 non sono realizzabili. Fin da subito, Starmer aveva dichiarato che il contrasto alla crisi climatica e il rafforzamento della sicurezza energetica erano «nel DNA del mio governo» e che i laburisti non avrebbero atteso ma accelerato la transizione. Eppure, la sua linea super green ha già iniziato a mostrare incoerenza quando si è detto propenso alla costruzione di una terza pista all’aeroporto di Heathrow, così come quando poi ha rinviato al 2030 il divieto non solo diesel e benzina, ma anche delle nuove auto ibride.

Il baronetto del regno

Oggi il “richiamo” di Blair suona come l’ultima doccia di realismo per le ambizioni green dei laburisti. Forse non sarà proprio la pietra tombale sul ridisegno in chiave sostenibile del Paese ma di certo il rapporto dell’ex premier deve aver procurato più di un mal di pancia a Downing Street e se non tutte le vacche sono proprio nere, va da sé che la lunga notte spagnola magari avrà portato qualche motivo di prudenza alla già traballante agenda verde di Sir Kier. E forse, il suo essere un baronetto del Regno, gli rende meno invise anche le posizioni dei conservatori.
Vedremo.