La fronda leghista porta a casa una prima vittoria. La Lega celebrerà un congresso, a settembre. Di quelli veri, o almeno verosimili: con gli iscritti che manderanno i delegati a votare per il segretario del Carroccio. Già in estate si terranno i congressi delle regioni più importanti, in primis la Lombardia. Un fatto straordinario, per un partito personale nel quale “Salvini Premier” è parte del simbolo e di assise non se ne vedeva l’ombra dal 2019. Allora non venne neanche posto in votazione il leader.

Nell’ultimo congresso che ha incoronato Salvini alla guida del partito di via Bellerio, il 7 dicembre 2013, c’è stato un plebiscito con l’81,66% dei voti. Da allora la Lega, reduce da un momento delicato, è cresciuta fino a sbancare alle Europee di cinque anni fa, ma ora fa i conti con un calo di consensi. Perfino la geniale idea di Piantedosi su Bari risulterebbe un boomerang, con Decaro che si rafforza.
Giovedì sera le oltre tre ore di consiglio federale del Carroccio sono servite allo stato maggiore leghista per guardarsi negli occhi. Ieri il congresso è stato scolpito su un’agenda di pietra. Si deve fare e si farà. Il leader Matteo Salvini detta i tempi della stagione del rinnovato confronto interno e lancia l’idea di una squadra per stilare il programma per le europee.

Adesso vuole coinvolgere. Ma è sempre più isolato. E la riprova la danno le defezioni di oggi. All’appuntamento del destroleghismo europeo di Identità e Democrazia negli Studios sulla Tiburtina, malgrado le nutrite delegazioni invitate – dal Rassemblement National (Francia), all’FPÖ (Austria), dal Vlaams Belang (Fiandre) a Chega (Portogallo) – non vuole farsi vedere nessuno dei big. Il programma, intendiamoci, si annuncia scoppiettante: ci sarà un discorso dal palco del leader portoghese André Ventura – l’ultima star del firmamento populista – e il video-messaggio della più stagionata Marine Le Pen. Sarà presente anche una delegazione dagli Usa con ex funzionari della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato sotto l’amministrazione Trump e l’intervento di Vivek Ramaswamy, imprenditore americano, ex candidato alle primarie repubblicane, considerato vicino al tycoon.

I big del Carroccio disertano l’incontro sovranista

Ma fa lo stesso: nel Carroccio non ne vogliono sapere. Mancheranno i governatori Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, il presidente della Camera Lorenzo Fontana (ha altri impegni istituzionali), il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio, il capogruppo a Palazzo Madama Massimiliano Romeo mentre raccontano che anche l’omologo a Montecitorio, Riccardo Molinari, che però non avrebbe trovato il modo di defilarsi, non sia troppo felice di andare. Gira voce che durante la direzione di ieri Zaia, a un certo punto, l’abbia detto a chiare lettere: “Eventi come questo ci fanno perdere voti”. Il clima in casa Lega si è fatto teso. I governatori sono intenzionati a battere i pugni sul tavolo e pretendere che – dopo che si sarà portata a casa l’Autonomia differenziata – il ministro dei Trasporti metta la bussola sul Nord. Fallito l’aggancio “nazionale” del Carroccio, i maggiorenti delle regioni settentrionali rimproverano il leader di essersi sovraesposto sul Ponte sullo Stretto, misura di cui da Cuneo a Rovigo, passando per Busto Arsizio, sentivano poco l’urgenza del bisogno.

Così mentre Salvini si affanna a organizzare i dettagli per dare il benvenuto agli amici europei, altri si affrettano a mettere in agenda, proprio nelle stesse ore, la scuola di formazione politica della Lega. Appuntamento oggi a Roma a Palazzo Rospigliosi: Giancarlo Giorgetti farà da padrone di casa, insieme con lui ci saranno il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon e tanti altri. Salvini non è previsto. Tempi grami, per il segretario a cui viene rinfacciato il passo indietro di Solinas, la sconfitta sarda, l’inconsistenza in Abruzzo e più in generale un trend decisamente negativo nei sondaggi.

La mozione di sfiducia

A venirgli in soccorso, come unico collante efficace per il centrodestra, la mozione di sfiducia individuale che Matteo Richetti, Azione, ha preparato e sulla quale ha raccolto le firme dei Dem, del Movimento, di Avs oltre agli azionisti stessi. “Secondo i firmatari del presente atto di indirizzo il ministro Salvini non può rappresentare degnamente la Repubblica, anzi, dimostra di non esercitare appieno le proprie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione. Per tali motivi”, la Camera “esprime la propria sfiducia al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e Vicepresidente del Consiglio dei ministri, senatore Matteo Salvini, e lo impegna a rassegnare immediatamente le proprie dimissioni”.
Firmato Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni, capigruppo e deputati di opposizione. Nella mozione Richetti, sostenuta da tutti (ma non da Italia Viva) si premette tra l’altro il fatto che “l’11 marzo 2015, l’allora eurodeputato Matteo Salvini affermava che ‘la Russia è sicuramente molto più democratica dell’Unione Europea’”.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.