La parola al “nemico irriducibile” della Philip Morris: il senatore Rino Formica. La definizione di irriducibilmente “ostile” è contenuta in un rapporto di 16 pagine della Philip Morris pubblicato su http://m.lobbyingitalia.com: 2000/2008 “Cene e viaggi pro-tabacco. Il lobbismo Marlboro style”. Il combattivo senatore, lo è anche oggi alla veneranda età di 93 anni. Si guadagnò quella medaglia nel 1991 quando era ministro delle Finanze. E a Il Riformista ricorda quella vicenda e regala una lucidissima e tagliente, “alla Formica” insomma, riflessione politica su Cinquestellopoli.

Senatore Formica, perché la Philip Morris la vedeva, è il caso di dirlo, come “fumo negli occhi”?
Dalle informazioni della nostra Guardia di Finanza risultava che i contrabbandieri erano riforniti addirittura da fabbriche che la Philip Morris aveva in Bulgaria. Bada bene: questo avveniva in anni di Guerra fredda, quando l’impero sovietico non era ancora crollato. L’esportazione delle sigarette della Philip Morris veniva effettuata attraverso le cosiddette “navi madri”, chiamate in questo modo perché poi diventavano le “madri” delle navi dei contrabbandieri. Buona parte di questo materiale prodotto, le sigarette, andava distribuito su queste “navi figlie”, che erano dei contrabbandieri, e poi veniva smistato. In buona sostanza, la produzione industriale delle sigarette della Philip Morris era anche produzione che avveniva nei Paesi protetti dell’Est e poi smistata ai contrabbandieri. Le informazioni erano pressanti, abbastanza diffuse. Tieni presente che la Philip Morris aveva una rete che loro chiamavano di “pubbliche relazioni” ma che era di corruzione in tutti i Paesi per diffondere la loro produzione industriale. E tra i loro clienti importanti c’erano i contrabbandieri. Noi chiedevamo di avere da loro la collaborazione, di sapere a chi vendevano questa roba per identificarli. Loro invece rispondevano picche. E allora, era il 1991 ed io ero ministro delle Finanze, feci un decreto che scatenò una sollevazione generale, di tutti gli ambienti italiani: giornalistici, politici, contro questa sospensione che avevo effettuato. Ma io tenni duro. Dopo un po’ di tempo il decreto fu revocato perché loro si sottomisero con un atto in cui si impegnavano a dichiarare a chi vendevano le sigarette. Ma nel ’92, questo è importante, quelli della Philip Morris ebbero la sfacciataggine di pubblicare sul loro sito un rapporto di 16 pagine nel quale misero tutto quello che aveva sortito la loro azione di penetrazione in Italia e della collaborazione delle istituzioni. Quel documento è davvero interessante, direi illuminante…

Perché, senatore Formica?
Beh, perché è un documento che dice, nel ’92, quale era tutta l’azione di corrompimento e di persuasione che loro facevano del sistema politico e istituzionale italiano. E in quel rapporto c’era scritto che “il nostro nemico irriducibile è Formica”. Questo Formica ce lo siamo tolti dalle scatole perché non è più ministro, dopo la crisi di Governo del ’92, e adesso fortunatamente abbiamo preso contatto con gli altri…

Tanto che quando le subentra Giovanni Goria come titolare delle Finanze, la multinazionale fa un salto di gioia perché, dopo soli quattro giorni dall’insediamento, il suo management è già riuscito a prendere contatto con i consiglieri economici del nuovo ministro…
Questo è il vero documento, quello più indicativo, perché viene da casa loro. Va ricordato poi che la Philip Morris ha una storia molto ambigua, perché non si è mai saputo esattamente quali fossero gli interessi azionari all’interno della stessa.

A quei tempi, e nei tumultuosi giorni che precedettero e seguirono il suo decreto, lei affermò che il contrabbando, cito testualmente, “ha origini precise, non è fatto senza il consenso attivo delle multinazionali” e che “la Philip Morris deve smettere di credere che questo sia il Paese degli allocchi”. A distanza di 28 anni, che dice?
Che sono d’accordo col compagno Formica.

Ho citato lo scomparso ministro Goria. Ma anche Carlo Vizzini, allora ministro delle Poste e Telecomunicazioni, gode delle simpatie della multinazionale per le sue scelte in fatto di pubblicità televisiva: “Con il ministro e il suo staff, abbiamo avuto contatti positivi”, si legge nel rapporto. Come reagì allora il mondo dell’informazione?
Tutta la stampa italiana si schierò a favore della Philip Morris. Di sinistra, di destra, La Stampa, il Corriere della Sera, tutti. Ricordo ancora un durissimo editoriale del professor Galli della Loggia su La Stampa. In quel documento che ho citato in precedenza, ci sono anche i rapporti che la Philip Morris aveva stabilito con tutto il filone della sinistra italiana. Consulente alle pubbliche relazioni era allora Toni Muzi Falcone che è diventato anche un iscritto del Pd. La Philip Morris era intoccabile. Lo era perché al finanziamento occulto si aggiungeva quello, trasparente, visibile, della pubblicità. Sponsorizzavano anche la Ferrari. Era tutto un mondo che era collegato.

Venendo a oggi. Che idea si è fatta di Cinquestellopoli che questo giornale ha tirato fuori?
Qui c’è un problema. Che provo a dire così: una cosa è l’attività di Casaleggio. La sua è l’attività di un’azienda privata che svolge un compito di servizio per altri privati? Questa è un’attività che se commette dei reati non identifica questi atti come tali dal punto di vista del rilievo politico. Il punto sta nell’ambiguità della posizione di questo sistema-Casaleggio. È sì un sistema di tecnologia specifica, legato al mondo dell’informatica, con non solo un chiaro uso politico ma di diretta azione politica. Perché è uno strumento che è stato utilizzato non solo per l’attività politica, ma era strumento partecipe dell’attività politica, perché tutta la funzione della Casaleggio era parte costitutiva del partito politico Cinque Stelle. Questo è nelle loro dichiarazioni, lo hanno detto, lo hanno scritto, lo hanno sostenuto. La rottura che attualmente si sta profilando, non è la rottura tra un partito politico, il M5S, che rompe con una società alla quale aveva appaltato un servizio. Rompe, o comunque entra in polemica, con una struttura del suo stesso corpo. È una scissione politica che non può essere ridotta alla rottura di un rapporto contrattuale privatistico. È la rottura per scissione di un pezzo della struttura dei 5 Stelle.

In precedenza lei ha fatto riferimento all’ostracismo attivo esercitato nel ’91, nei giorni del “decreto Formica”, dalla grande stampa e anche dal sistema politico. La stessa dinamica non la ritroviamo anche adesso, con Cinquestellopoli?
Sono convinto che oggi sia ancora di più. E questo per una ragione molto semplice: perché queste cosiddette relazioni dirette tra attività economiche e finanziarie, e attività politiche, oramai si sono frantumate, non sono solo al livello dei partiti politici ma sono anche al livello individuale. Il sistema è diventato granulare. Prima si dovevano comprare un partito, poi se volevano avere buoni rapporti con la pubblica amministrazione si compravano il ministro e l’apparato dei funzionari. Adesso, invece, il problema è più complesso. Perché i centri di contrattazione si sono moltiplicati per mille. D’altro canto, cosa c’è al fondo della reazione dell’opinione pubblica al numero dei parlamentari, al consenso registrato al loro taglio? C’è una scissione di giudizio: l’istituzione, il Parlamento, è buona ma i parlamentari sono oramai diventati i “sacerdoti” di personaggi inquinati. Insomma, il livello di inquinamento dei “sacerdoti” è più alto del livello di inquinamento delle istituzioni.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.