Sono oltre 600mila i manifestanti scesi in piazza in più città d’Israele per protestare contro la decisione del primo ministro Benjamin Netanyahu di rimuovere dall’incarico il ministro della Difesa Yoav Gallant dopo le critiche di quest’ultimo sulla riforma della giustizia che l’Esecutivo si appresterebbe a varare nonostante le proteste e le polemiche degli ultimi mesi.

Una decisione che ha scatenato le proteste in tutto il Paese, andate in scena anche nella notte con il governo di Netanyahu che dopo ore di confronti (e minacce) all’interno della sua maggioranza, ha deciso di congelare per il momento la riforma sulla giustizia. “Sono responsabile di fronte alla nazione, per questo ho deciso di posporre la seconda e la terza tornata di voti alla Knesset” sulla riforma della giustizia alla prossima sessione parlamentare, “in modo che il dibattito possa essere più articolato” e “in modo che le parti contrapposte possano confrontarsi”, “sto prendendo tempo per il dialogo” ha sottolineato Netanyahu nell’atteso discorso alla nazione andato in scena nel pomeriggio di lunedì 27 marzo.

Decine di migliaia di persone si sono radunate ieri sera a Tel Aviv e Gerusalemme, ma anche in altre città, per protestare contro il licenziamento del ministro Gallant. A Gerusalemme, secondo quanto riferito, manifestanti hanno sfondato un posto di blocco vicino alla residenza di Netanyahu. Anche il presidente israeliano Isaac Herzog ha chiesto al premier lo stop dell’iter legislativo della riforma che “indebolisce il sistema giudiziario”.

I leader della protesta anti-riforma hanno proseguito in giornata con una manifestazione di massa davanti la Knesset (parlamento monocamerale), a Gerusalemme. “Non permetteremo alcun compromesso che danneggi l’indipendenza della Corte Suprema”, dicono. Sono stati predisposti autobus per portare manifestanti da tutto il Paese. Ci sono state proteste di massa settimanali per quasi tre mesi contro la legislazione prevista e un’ondata crescente di obiezioni da parte di importanti personaggi pubblici tra cui giuristi e imprenditori.

Prima di essere silurato dal governo, Gallant, ieri, aveva avvertito pubblicamente che la riforma (caldeggiata dall’estrema destra)  rappresenta un “pericolo immediato e tangibile” per la sicurezza dello Stato e chiesto una sospensione del suo iter. Il premier ha poi convocato Gallant, dicendogli di non avere più fiducia in lui come ministro della Difesa. “Il primo ministro ha deciso di rimuovere dall’incarico Gallant”, si legge in una nota del primo ministro Netanyahu. “La sicurezza dello Stato di Israele è sempre stata e sarà sempre la missione della mia vita”, si è difeso su Twitter Gallant, che aveva ottenuto il sostegno di altri membri del Likud (stesso partito di Netanyahu), ma di cui l’estrema destra aveva chiesto subito la testa. “Siamo profondamente preoccupati per gli sviluppi odierni in Israele, che sottolineano ulteriormente l’urgente necessità di un compromesso” ha scritto in una nota la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Adrienne Watson.

LA MINACCIA DEI PARTITI DI ESTREMA DESTRA – I partiti di estrema destra che fanno parte della coalizione di governo guidata da Netanyahu hanno minacciato di far cadere il governo, ritirando il loro sostegno al primo ministro se deciderà di fermare la riforma giudiziaria. Lo riferiscono alcuni media israeliani, tra cui The Times of Israel. Per questo motivo Netanyahu avrebbe fatto slittare il suo discorso alle Knesset previsto alle 9 ora italiana. Channel 12 riporta che il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha minacciato di lasciare la coalizione, durante una riunione dei capi di partito.  Ben Gvir, secondo alcune fonti citate dal Times of Israel, starebbe “considerando” l’idea di abbandonare il governo ma, allo stesso tempo, il suo partito potrebbe ancora dare al governo sostegno esterno.

LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA – La riforma lanciata dall’estrema destra e dal ministro della Giustizia Yariv Levinc indebolisce sensibilmente il ruolo della Corte suprema israeliana, con i poteri di controllo di quest’ultima che passerebbero al governo. Una sproporzione letta in modo diverso dal governo, secondo cui la riforma porterebbe un necessario ribilanciamento dei poteri dello Stato, che negli ultimi decenni avrebbero favorito eccessivamente il potere giudiziario.

Netanyahu è attualmente sotto processo per corruzione e altri reati, e ritiene che le accuse contro di lui siano politicamente motivate. Gli ultraortodossi invece accusano la Corte di limitare le loro libertà religiose, perché negli anni avrebbe cercato di limitare le numerose esenzioni e i privilegi di cui godono. Per esempio, il servizio militare è obbligatorio per tutti i cittadini israeliani, maschi e femmine, ma non per gli ultraortodossi.

Due gli elementi principali della riforma. Il primo mira a cambiare le modalità di nomina dei giudici attraverso una commissione attualmente composta da nove membri (di cui quattro scelti dal Governo). L’Esecutivo vorrebbe infatti portare a 11 i membri della commissione che seleziona i nuovi giudici, e portare a otto i membri di nomina politica, così da avere la maggioranza per le nomine sia dei giudici della Corte suprema sia dei giudici delle corti inferiori.

Il secondo elemento della riforma della giustizia va a colpire il potere della Corte di abolire le leggi approvate dal parlamento. Anzitutto, il governo vorrebbe eliminare la “clausola di ragionevolezza”, lasciando alla Corte suprema il compito di esaminare esclusivamente se una legge è aderente o meno ai princìpi espressi dalle Leggi fondamentali.

Redazione

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