La sua abilità dialettica è fuori discussione, così come la capacità di manovra che hanno fatto di lui il politico più navigato e vincente della storia d’Israele. Doti che Benjamin “Bibi” Netanyahu ha sfoggiato anche nella sua intensa e movimentata due giorni romana. Non ha conquistato la piazza – Piazza Santi Apostoli, nel cuore di Roma dove ieri pomeriggio israeliani che vivono, lavorano, studiano nella capitale hanno manifestato contro il primo ministro che “attenta alla democrazia d’Israele” – ma il palazzo quello “Bibi” l’ha conquistato.

Inteso come Palazzo Chigi. Netanyahu è il più grande “divisore” d’Israele. Nel senso che ha sempre vinto spaccando il Paese e portando dalla sua parte, con alleanze alquanto ardite a destra, la maggioranza parlamentare sufficiente per garantirgli il primato. Netanyahu il “divisore” lo è anche in trasferta. Della piazza in fermento si è detto. Ma ancor più significativo è ciò che è avvenuto l’altra sera nell’incontro, privato ma non tanto, che il premier israeliano, accompagnato dalla moglie Sarah, ha avuto con i vertici dell’ebraismo italiano. Un incontro affollato, teso, che ha reso evidenti le frizioni esistenti tra le varie anime dell’ebraismo italiano. E la rivolta che infiamma da oltre due mesi Israele ha alimentato queste divisioni.

A riprova le reazioni, non certo amichevoli, che diversi esponenti della comunità romana, hanno manifestato durante e dopo l’intervento, nell’antico Tempio Spagnolo di Roma, della presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei) Noemi Di Segni. «Non posso esimermi dal condividere il senso di profonda preoccupazione, dinanzi alla spaccatura che si sta delineando dentro Israele e che inevitabilmente si riflette anche nelle nostre comunità», dice la presidente dell’Ucei, in un crescendo di mormorii di protesta. «Non si può essere orgogliosamente israeliani, né orgogliosamente ebrei, se in nome di una identità ebraica si offre, come risposta al terrore e al lutto, la violenza del singolo e la legittimazione ministeriale agli atti di vendetta». La reazione di una parte dei presenti racconta di una spaccatura profonda che da Israele si proietta nella diaspora. E al centro c’è sempre lui, il primo ministro più longevo nella storia dello Stato ebraico. C’è Benjamin “Bibi” Netanyahu.

Mentre la piazza poco distante rumoreggia, a Palazzo Chigi si celebra una comunione d’intenti e di reciproci apprezzamenti tra “Bibi” e Giorgia. La conferenza stampa che fa seguito al pranzo ufficiale di Stato è un susseguirsi di reciproci attestati di stima. «Israele è un partner importante, una nazione amica» , ribadisce la premier Meloni all’inizio dell’incontro con la stampa per poi precisare che durante l’incontro si è parlato di antisemitismo: «tema sul quale il governo è molto impegnato». «Sono contenta di un confronto lungo e amichevole – dichiara Meloni – con Netanyahu ci conosciamo e stimiamo da tempo». «Potremmo parlare a lungo – dice ancora – dei nostri legami culturali e storici, tra Italia e Israele c’è un’amicizia che viene da lontano, molte cose che ci legano e credo che ci siano molti piani che possono beneficiare di un nostro rapporto diretto, schietto, pragmatico e di amicizia. Sono molto contenta della presenza di Netanyahu qui e sono certa che sarà la prima di molte che avremo in futuro».

Da parte sua Netanyahu si è dichiarato «colpito dalla visione e dalla leadership della premier italiana, la sua decisione di far progredire l’Italia e portare avanti le relazioni con Israele». Meloni ha ribadito il sostegno dell’Italia per la ripresa di un dialogo di pace in Medio Oriente: «L’Italia sostiene ogni iniziativa volta alla ripresa di un processo politico tra Israele e Palestina. Ho espresso preoccupazione per la situazione, portato la solidarietà e la condanna per gli attacchi terroristici avvenuti anche recentemente. Vogliamo fare tutto quel che possiamo per facilitare la ripresa di accordi e de-escalation della violenza. E ribadiamo il sostegno al comunicato congiunto adottato di recente all’incontro di Aqaba», dice la premier alla stampa. «Vorremmo accelerare le esportazioni di gas verso l’Europa attraverso l’Italia», annuncia il primo ministro israeliano.

«Ora c’è la partecipazione dell’Eni nel nostro progetto, ma riteniamo di poterle portare ad un livello ancora superiore». «Il mio messaggio è che Israele è pronto ad aumentare le relazioni tecnologiche ed economiche. Mi auguro di vedervi se non quest’anno, l’anno prossimo a Gerusalemme», aveva detto in precedenza Netanyahu ai rappresentanti delle imprese italiane che partecipano al Forum economico per le imprese, presieduto dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. «La prima cosa che voglio dire a Meloni è di fare una visita a Gerusalemme accompagnata poi da 50 o 100 aziende leader», ha proseguito Netanyahu. Per il primo ministro israeliano l’Italia è una terra “benedetta” per l’imprenditoria e il design. «Vogliamo condividere con voi il nostro vantaggio tecnologico», ha aggiunto.

A Palazzo Chigi, Netanyahu si sente di giocare in casa. Molto più che a Balfour Street, nel cuore di Gerusalemme, dove è ubicata la residenza ufficiale dei primi ministri, da settimane “assediata” dai manifestanti anti-Bibi. Gerusalemme, la grande assente dalla conferenza stampa. E sì che alla vigilia della sua visita a Roma, Netanyahu aveva affidato a una intervista al direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, il cadeaux più ambito che avrebbe voluto ricevere nel suo soggiorno romano: «È ora che Roma riconosca Gerusalemme, nostra capitale da tremila anni». E di conseguenza, trasferisca, come hanno fatto gli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump, la nostra Ambasciata da Tel Aviv a Yerushalayim (Gerusalemme in ebraico). Ma questo, hanno spiegato a Netanyahu i più stretti collaboratori diplomatici di Meloni, sarebbe stato chiedere troppo.

In contemporanea all’incontro al vertice italo-israeliano, circa 200 persone hanno manifestato a piazza Santi Apostoli contro la riforma della giustizia voluta in patria da Netanyahu. «Bibi dimettiti» e «vergogna» i cori scanditi dai manifestanti che hanno sventolato bandiere di Israele. «Questa non è una riforma. Siamo qui per lottare per la democrazia in Israele, se passa non saremo più un Paese democratico e questo sarà un problema per tutto il mondo», afferma Itamar Danieli, organizzatore della manifestazione. «Abito a Roma, ho una fidanzata italiana, ma ho fatto il mio servizio militare in Israele, la mia famiglia è là e sono preoccupato – dice Danieli all’Agi –. Forse serve una riforma nel sistema ma non così, questo piano dà assolutamente il potere solo al governo, che sceglierà i giudici, cancellerà le sentenze. La democrazia sarà solo sulla carta, come in Ungheria». C’è un legame tra la piazza di Roma e quelle d’Israele. Né da conto Danieli: «Solo questo governo vuole la riforma ma la maggioranza degli israeliani è contraria – afferma il giovane israeliano -. Non solo quelli di sinistra, a manifestare ci sono anche tanti di destra, tanti religiosi…». Quelle piazze non smobilitano. “Bibi” ha conquistato Palazzo Chigi. Ma in Israele sarà un’altra musica.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.