Lo spettro di una terza intifada
“L’antisemitismo va combattuto, non nuoce solo agli ebrei”, intervista ad Alon Bar

Israele tra una pace che non c’è e lo spettro insanguinato di una terza intifada. E ancora: un “nuovo” antisemitismo che ha come elemento fondante la demonizzazione dello Stato ebraico. Sono i temi di stringente attualità al centro dell’intervista concessa a Il Riformista dall’Ambasciatore d’Israele in Italia Alon Bar.
Signor Ambasciatore, gli attentati a Gerusalemme, gli scontri a fuoco in Cisgiordania. E’ scoppiata la terza intifada?
Mi auguro di no. Ma nell’ultimo anno abbiamo assistito a un crescente numero di atti terroristici all’interno di Israele, a Gerusalemme, e il livello di tensione è molto alto. Rispetto al passato, ci sono differenze: in questa fase, non vediamo sostegno all’intifada da parte dell’Autorità Palestinese e assistiamo a una forte demonizzazione di Israele, la qual cosa potrebbe portare a ulteriori tensioni e violenza. Gli orribili attacchi terroristici ad Hawara e l’omicidio dei due fratelli israeliani, e gli altri attentati avvenuti in precedenza a Gerusalemme, sono il diretto risultato della deliberata e premeditata istigazione pianificata e compiuta dalle organizzazioni terroristiche che agiscono direttamente per conto dell’Iran. Gli interventi delle forze di sicurezza israeliane contro i centri del terrorismo a Nablus e Jenin sono finalizzati unicamente alla prevenzione di imminenti attacchi terroristici. Le forze israeliane compiono sforzi enormi per individuare e colpire esclusivamente i terroristi senza fare del male a civili innocenti, per quanto possibile. I terroristi, al contrario, ambiscono a generare il maggior numero possibile di vittime innocenti da entrambe le parti. A tal fine, mettono deliberatamente a rischio la popolazione civile palestinese, utilizzandola come vero e proprio scudo umano. Ci avviciniamo al mese del Ramadan e, alla luce del terrorismo e delle tensioni del periodo, Israele ha partecipato ieri, insieme a funzionari degli Stati Uniti, dell’Egitto e dell’Autorità Palestinese, a colloqui in Giordania finalizzati ad arrestare l’escalation. Nella cornice dell’impegno israeliano contro le tensioni, s’inserisce la visita del primo ministro Netanyahu in Giordania, dove ha incontrato il re Abdullah. Mi auguro di poter vedere concreti tentativi di de-escalation da parte dell’Autorità Palestinese, dato che il nostro primo ministro ha immediatamente chiesto a tutti gli israeliani di non farsi giustizia da soli.
Da più parti si sostiene che non esistono più spazi per un negoziato di pace fondato sulla soluzione “a due Stati”. Siamo a un vicolo cieco?
Non credo che l’accordo negoziato sia impossibile. Ma la soluzione “a due Stati” è stata sostenuta principalmente dalla comunità internazionale e non necessariamente a sufficienza da israeliani e palestinesi. Quando ci sono state opportunità per concordare la soluzione “a due Stati”, abbiamo visto reazioni negative da parte dell’Autorità Palestinese e di Abu Mazen, e la popolarità di quella soluzione sta diminuendo in entrambe le comunità, israeliana e palestinese. Non so se, in questa fase, potrà emergere un’altra formula per fare progressi. Al momento, il livello di credibilità di Abu Mazen è così basso e la divisione tra Hamas a Gaza e l’Autorità Palestinese in Cisgiordania è così forte, che non credo sia possibile tenere un serio negoziato. Ed è anche vero che parti del governo israeliano hanno espresso una forte opposizione a tale soluzione.
Come risponde all’accusa che Israele ha instaurato un sistema di apartheid nei territori palestinesi?
Respingo fermamente questa accusa e credo che sia sostenuta da persone che vogliono demonizzare Israele e trasformarlo in uno stato illegittimo. In realtà, le ragioni della violenza e dello scontro non risiedono nella discriminazione razziale, ma nel terrorismo e nello scontro nazionale. Quei musulmani, cristiani, palestinesi e arabi che nello Stato di Israele rappresentano il 20% della popolazione e che non minacciano il Paese con la violenza, partecipano alla pari alle attività economiche, politiche e culturali d’Israele. Abbiamo buoni rapporti con diversi Paesi arabi e non ci sono argomenti per sostenere un parallelismo tra ciò che accade in Cisgiordania e la situazione storica in Sud Africa.
Signor Ambasciatore, in Europa c’è preoccupazione per il nuovo governo israeliano di cui fanno parte forze politiche di estrema destra. Cosa può dire al riguardo?
Il governo di Israele è il risultato di un processo democratico supportato dalla maggioranza degli israeliani e deve anzitutto rispondere ai cittadini che lo hanno scelto. Non temo affatto che il dibattito pubblico israeliano possa perdere vivacità e democraticità. Del resto, anche in questi giorni vediamo che si mantiene effervescente. La politica di destra, che piaccia o meno in altri Paesi, non è illegittima e, fintantoché godrà del sostegno democratico, il governo la porterà avanti. Sono certo che cercherà di farlo in modo da non creare minacce o instabilità in Israele e nella regione.
Cosa teme di più dell’antisemitismo che ancora marchia l’Europa?
Da un lato, mi preoccupa il fatto che le persone usino sentimenti antisemiti per demonizzare Israele; dall’altro, che utilizzino informazioni parziali o distorte su ciò che accade in Israele e in Medio Oriente per promuovere sentimenti antisemiti in Europa. Questo potrebbe portare molti ebrei in Europa a sentirsi in difficoltà nel dichiarare apertamente la propria identità religiosa, e in alcuni casi è già successo. Credo che questa sia una grave minaccia per la cultura e la società europee e, come abbiamo visto in passato, quando queste tendenze si rafforzano, si crea una forte instabilità nel Vecchio Continente. Credo sia importante che i leader combattano il razzismo in generale e, specificamente, l’antisemitismo, nei campi dell’istruzione, legale e dei social media, i quali sono spesso luoghi di prolificazione di per dichiarazioni antisemite e discorsi d’odio. Ignorare questi ultimi è rischioso perché sentimenti del genere potrebbero tradursi in azioni violente contro le minoranze in generale, non necessariamente solo contro gli ebrei.
Cosa si sente di chiedere all’Italia?
Mi auguro di vedere Italia e Israele rafforzare le relazioni su temi di interesse comune, come acqua, energia, sicurezza e cyber-sicurezza. Auspico che l’Italia e il popolo italiano vedano in Israele il giusto partner per affrontare con successo queste sfide. Mi auguro che l’Italia sia in prima linea tra i Paesi amici di Israele in Europa e nel mondo, in termini politici, economici, commerciali e culturali. Intendiamo celebrare in Italia i 75 anni dalla nascita dello Stato di Israele, intrattenendo molteplici collaborazioni a livello regionale, nazionale, in Parlamento e nella società civile, perché c’è davvero molto da festeggiare.
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