Lo stato di Israele è per la prima volta nella tenaglia di una duplice minaccia: quella di una terza intifada che sta covando nella ormai famosa terza generazione palestinese, e quella di una crisi delle sue stesse istituzioni democratiche che ne hanno fatto finora un campione unico e separato di liberaldemocrazia di guerra.

Benjamin Netanyahu pur di governare ha dovuto coalizzarsi con la destra più conservatrice, religiosa e laica, e ora la prima conseguenza che emerge da questa scelta è l’idea di chiudere il capitolo – che aveva accompagnato Israele dalla nascita – di una magistratura indipendente a garanzia delle leggi e della costituzione e di metterla sotto il comando del governo proprio nel corso. di una crisi internazionale di cui ancora nessuno sa valutare gli esiti. La “Terza Generazione” dei giovani palestinesi è ormai l’incubo dei media israeliani. In breve: l’amministrazione palestinese che governa i territori dopo gli accordi di Oslo con la bandiera e la foto di Yasser Arafat che è affondata negli scandali della corruzione, del nepotismo, dell’autoritarismo ed è considerata spesso l’espressione dell’autorità di Israele in uniforme palestinese.

Il mese scorso tre alti funzionari americani sono andati a compiere un’approfondita ispezione per conto Jack Sullivan, National Security advisor e uomo di Biden per i rapporti con Israele, e sono tornati a Washington esprimendo la certezza di un’imminente gigantesco scontro fra Stato ebraico e giovani palestinesi. Finora la tensione non ha fatto che crescere e Israele non ha fatto che colpire le attività palestinesi nel West Bank, specialmente a Jenin e a Nablus, eliminando ovunque i capi della rivolta che però non sono più simili a quelle di un tempo: la terza generazione non ha più nulla a che vedere con l’Olp, e non intende obbedire né ad Hamas, né alla jihad islamica benché ne accetti l’alleanza senza riconoscerne l’autorità. Questo stato di tensione crescente ha costretto gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein a congelare il processo di riconoscimento di Israele, così come sta facendo anche il Marocco.

Adesso in Israele si litiga molto sulle responsabilità degli errori commessi sottovalutando lo spirito nazionalista dei giovani palestinesi adolescenti e in genere sotto i trent’anni. E si fanno roventi i rapporti fra Gerusalemme e Washington. Gli americani sono considerati i responsabili di una scelta ideologica che è risultata del tutto errata. Bisogna tornare al 2007, quando l’Olp di Arafat fu buttata fuori dalla Striscia di Gaza che aveva ricevuto come un interessato dono dagli israeliani nel 1994. A cacciare gli uomini di Arafat era stata Hamas ormai al culmine della sua popolarità per l’intransigenza contro lo Stato ebraico rispetto al “cedimento” seguito all’applicazione degli accordi di Oslo. Gli americani assunsero per sé il compito di affidare al generale Keith Dayton la ricostruzione dei servizi di sicurezza palestinesi, per renderli competitivi con quelli di Hamas, aggiungendo una intuizione semplicistica che si è rivelata fallimentarea: quella di far crescere i più giovani palestinesi in una società consumistica di tipo occidentale che avrebbe dovuto distrarli da ogni radicalismo.

Il facile accesso al debito avrebbe dovuto produrre insieme al benessere una società sottomessa alle scadenze bancarie. È stato un fallimento totale specialmente per il progetto totalmente andato a monte di sostituire gli slogan patriottici e religiosi con il culto delle celebrità e dei gossip. Fu una catastrofe completa perché la guerra di Gaza si rivelò troppo lunga e sanguinosa con più di duemila morti palestinesi, sicché i bambini di allora hanno conservato un ricordo non medicabile che li ha spinti a formare delle comunità armate specialmente nei campi dei profughi, promettendo di vendicare sia i morti di Gaza, sia la mancata solidarietà americana ed europea. Questa crescita della rivolta spontanea ha naturalmente fatto crescere sia gli appetiti di Hamas che dei jihadisti, fra loro in feroce concorrenza nella linea della durezza contro Israele e di castigo contro l’Amministrazione Palestinese trattata come collaborazionista. L’A.P. a sua volta scarica su Gerusalemme la responsabilità di non aver mai annunciato la creazione di uno Stato palestinese indipendente.

Negli ultimi tre giorni la Casa Bianca ha diramato segnali molto energici al governo israeliano: lo Stato palestinese deve essere portato a termine in modo rapido e partendo da adesso. L’America è terrorizzata da una situazione di instabilità che dalla guerra ucraina si estenda, passando per una Turchia in preda al dolore per la catastrofe del terremoto, alla Siria e al Libano. Una tale instabilità secondo le fonti militari e diplomatiche potrebbe indurre Israele, governata dalla coalizione di estrema destra, a procedere con un attacco violentissimo per eliminare i nuovi nemici i quali hanno frattanto deciso di non indossare maschere e passamontagna per nascondere il viso, ma anzi di moltiplicare in video i loro volti e diffonderli su tutti i social, marciando in parata con le armi bene in vista in aperta sfida alla polizia palestinese e alla dirigenza militare di Hamas e Jihad.

Gli accordi di Oslo sono stati firmati da al Fatah (il braccio armato dell’Olp di Arafat nel 1993) che da allora è politicamente finito e sostituito dalle organizzazioni di Hamas e Jihad, mentre l’Autorità Palestinese è rimasta di fatto prigioniera delle concessioni e degli aiuti di Israele. Ed ecco che da poco più di un anno è comparsa in scena questa misteriosa Terza Generazione che chiede l’immediata proclamazione dello Stato della Palestina, dichiarando di non voler concedere spazio politico neanche agli occasionali alleati di Hamas e Jihad. Il loro motto è “Non abbiamo paura” che ricorda il verso più potente della canzone We shall overcome, il canto di battaglia dei giovani americani in rivolta a Berkeley, California. Ed è un dato di fatto che questi palestinesi laici e non manipolabili, hanno tenuto testa ai reparti antisommossa dell’Idf israeliana e sono troppo giovani per avere un ricordo della seconda intifada che durò dal 2000 al 2005.

Sono esseri umani del tutto nuovi e in larga parte immemori e cresciuti in un costante addestramento psicologico alla sfida, alla dimostrazione di essere in grado di non fuggire. Il governo israeliano è in queste ore sotto una pressione molto ostile del presidente Biden e il deterioramento tra l’amministrazione democratica americana e Gerusalemme non fa che peggiorare dal momento in cui gli israeliani si sono sottratti alla politica delle sanzioni antirusse per avere mano libera e poter scegliere gli alleati a geometria variabile secondo necessità.

Sia il Cremlino che la Cina hanno dato segnali di interesse alla nuova movibilità del governo di Gerusalemme che per la prima volta sente di non poter contare fino in fondo dell’alleato americano che adesso è anche scandalizzato per i segnali che potrebbero indicare una involuzione di Israele verso una forma di democrazia autoritaria non più sottoposta ai poteri incrociati dei pesi e contrappesi, prima di tutto quello di una magistratura indipendente dal potere politico. che l’hanno finora fatta apparire un esempio per tutto il Medio Oriente e un alleato sicuro per i valori democratici occidentali.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.