Resistere all’occupazione. Rivendicare il diritto ad uno Stato indipendente. La sfida palestinese. È il filo conduttore dell’intervista esclusiva concessa a Il Riformista, con la preziosa collaborazione di Luisa Morgantini, presidente di AssopacePalestina, dall’Ambasciatrice di Palestina in Italia, Abeer Odeh.

Signora Ambasciatrice, in una intervista a questo giornale, l’Ambasciatore d’Israele in Italia ha affermato, cito testualmente, “Gli orribili attacchi terroristici ad Hawara e l’omicidio dei due fratelli israeliani, e gli altri attentati avvenuti in precedenza a Gerusalemme, sono il diretto risultato della deliberata e premeditata istigazione pianificata e compiuta dalle organizzazioni terroristiche che agiscono direttamente per conto dell’Iran”. Qual è in proposito il punto di vista dell’Autorità nazionale palestinese?
L’aggressione che ha terrorizzato la città di Hawara, a cui i coloni israeliani hanno letteralmente dato fuoco con l’aiuto delle forze di occupazione, non ha a che fare con nulla di esterno a Israele e alla sua volontà di cacciare il popolo palestinese dalla sua terra. Non è la prima volta che Israele ricorre a presunti fattori esterni per giustificare i suoi misfatti di fronte a critiche interne ed esterne. Parliamo invece di un’impresa coloniale che sta moltiplicando il numero di insediamenti illegali sul territorio palestinese. È da qui che i coloni partono per uccidere e fare razzie, distruggendo raccolti, sradicando alberi e ammazzando il bestiame dei palestinesi, con il chiaro proposito di rendere la loro vita impossibile, per via del terrore quotidiano a cui sono sottoposti e della sottrazione violenta dei loro mezzi di sostentamento. Hawara non è il primo e non sarà l’ultimo caso di attacco terroristico per mano dei coloni. D’altra parte, queste azioni violente vengono incoraggiate dalla leadership israeliana, che ha dato il via libera all’uso delle armi contro i palestinesi e, proprio in questa occasione, ha sostenuto per bocca del Ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, che Hawara dovrebbe essere semplicemente “cancellata” dalla faccia della terra. Tali dichiarazioni dimostrano che non abbiamo assistito a un semplice incidente, ma che siamo di fronte ad una politica e ad una pratica ufficialmente terroristiche.

L’Ambasciatore d’Israele ha dichiarato che “gli interventi delle forze di sicurezza israeliane contro i centri del terrorismo a Nablus e Jenin sono finalizzati unicamente alla prevenzione di imminenti attacchi terroristici”
Deve essere chiaro che quando parliamo di terrorismo parliamo di quello teorizzato e praticato da Israele con le sue punizioni collettive, perché nulla giustifica l’uccisione di civili, comprese donne, bambini e anziani, come è accaduto a Jenin e a Nablus; e perché “i terroristi” di cui parla Israele davvero non esistono: esistono giovani disperati che cercano di difendere se stessi e le proprie famiglie da un lento ma inesorabile sterminio che la comunità internazionale non sta in nessun modo evitando. Sono almeno 66 i palestinesi uccisi dall’inizio dell’anno. Di questi, 14 erano minorenni. Qui non è in gioco solo il diritto all’autodeterminazione, ma quello all’autodifesa e alla sopravvivenza di un intero popolo. Qualcuno dovrà pur farsene carico.

L’Anp, cosi come importanti organizzazioni per i diritti umani, accusa Israele di aver instaurato un regime di apartheid nei Territori palestinesi occupati. Su cosa si fonda questa accusa?
Noi palestinesi ci siamo accorti da tempo di vivere in un regime di Apartheid. Se ne era accorto anche Nelson Mandela, quando diceva: “Sappiamo fin troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza quella dei Palestinesi”. Ora esistono ricerche scientifiche che, basandosi su fatti concreti, dimostrano che quello imposto da Israele ai palestinesi è un regime di Apartheid. Ricordiamo i lavori pubblicati dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem e da Human Rights Watch nel gennaio e nell’aprile 2021, e ricordiamo quello condotto da Amnesty International, pubblicato nel febbraio del 2022. Ma ricordiamo anche il Report della Relatrice Speciale sulla Situazione dei Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967, Francesca Albanese, presentato all’Assemblea delle Nazioni Unite nel settembre del 2022. Ebbene, tutte queste ricerche stabiliscono che se, come è vero, il reato di Apartheid viene commesso quando qualsiasi atto disumano viene perpetrato nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione e dominio sistematico da parte di un gruppo razziale su un altro, con l’intenzione di mantenere quel sistema, è proprio di questo reato che si macchia Israele, sopprimendo lo sviluppo umano dei palestinesi nel suo complesso, dal momento che ci è precluso accesso equo alle risorse naturali e finanziarie, alle opportunità di sostentamento, all’assistenza sanitaria, all’istruzione e persino alla religione, come abbiamo visto di recente con la provocazione del Ministro della Sicurezza israeliano alla Moschea di Al-Aqsa e con gli attacchi ai fedeli cristiani. Se aggiungiamo alle miserabili condizioni di vita a cui sono condannati i palestinesi l’impossibilità di avere un nostro Stato, la demolizione delle nostre case come a Sheikh Jarrah e a Masafer Yatta, le detenzioni arbitrarie, le condizioni insopportabili dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, e le uccisioni ingiustificate di giovani, donne e giornalisti come Shireen Abu Akleh, la cui bara, ricorderete, è stata assalita durante la processione funebre a Gerusalemme, comprendiamo perché il Rapporto di Amnesty International si intitoli “L’Apartheid di Israele contro i palestinesi: un crudele sistema di dominio e un crimine contro l’umanità”. Le stesse ricerche sottolineano che, contrariamente a quanto affermano molti commentatori attribuendo scelte sbagliate a questo o quel governo, questo sistema di Apartheid è stato costruito e mantenuto per decenni dai successivi governi israeliani, indipendentemente dal partito politico al potere in quel momento.

Signora Ambasciatrice, cosa si attende dalla comunità internazionale?
Ci aspettiamo e pretendiamo che rispetti il diritto internazionale e le risoluzioni dell’ONU facendosene garante. Esigiamo che non applichi doppi standard a seconda del luogo del mondo dove il diritto dovrebbe essere rispettato, e che non faccia dunque eccezioni per Israele.

C’è il rischio dell’esplosione di una terza intifada?
Quello che succede è che la gente è stanca, non ne può più di vivere sotto l’occupazione più lunga del mondo, così ingiusta e crudele come l’abbiamo descritta. Stiamo assistendo alla reazione di persone che hanno perso la speranza a furia di aspettare una soluzione, un aiuto, una risposta dalla comunità internazionale per la realizzazione del loro legittimo diritto alla sopravvivenza e all’autodeterminazione.

Signora Ambasciatrice, esistono ancora spazi per una soluzione di pace fondata sul principio “due popoli, due Stati”?
Noi crediamo ancora nella pace e crediamo nella validità di questa formula, “Due popoli e due Stati”, basata sul diritto internazionale e sulle risoluzioni dell’ONU, nell’interesse di tutti. Gli stessi israeliani stanno scendendo in piazza a decine di migliaia per protestare contro le politiche e le pratiche del loro governo. Sta alla comunità internazionale il compito di assumersi le proprie responsabilità giocando il ruolo che le compete, affinché le sue stesse decisioni vengano finalmente attuate.

Non crede che in campo palestinese esista un problema di rinnovamento profondo della leadership? Le elezioni per il Consiglio legislativo, il Parlamento dei Territori, come quelle per la presidenza sono continuamente rinviate.
Vogliamo ricordare perché queste elezioni sono state rinviate? Sono state rinviate perché Israele non ha concesso ai cittadini di Gerusalemme Est, cioè della legittima capitale della Palestina, occupata illegalmente da Israele secondo il diritto internazionale, di parteciparvi. Tutto era pronto, da parte nostra, perché le elezioni si tenessero, ma indire delle elezioni escludendo i cittadini di Gerusalemme – che rappresentano quasi il 20% della popolazione palestinese della Cisgiordania compresa Gerusalemme Est – sarebbe stato come ammettere che Gerusalemme non faccia parte della Palestina, e questo è per noi inconcepibile. Non vediamo l’ora che si tengano elezioni a cui possa partecipare tutto il popolo palestinese.

Cosa si sente di chiedere oggi all’Italia, in particolare al governo e alle forze politiche presenti in Parlamento?
Chiediamo all’Italia di riprendersi il ruolo di protagonista che merita, di ricordare la sua posizione storica in Medio Oriente, e di esigere il rispetto del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’ONU alla cui approvazione ha così tanto contribuito. Per questo, chiediamo anche all’Italia di non lasciare impunito chi calpesta il diritto internazionale e i diritti del popolo palestinese. Infine, chiediamo all’Italia di riconoscere lo Stato di Palestina, in linea con la sua posizione in favore di “Due popoli e due Stati”, e di non distruggere con l’indifferenza la possibilità di raggiungere finalmente la pace.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.