È il 9 maggio. L’Europa celebra la sua festa, ricordando il giorno in cui, dopo le macerie della Seconda guerra mondiale, scelse la via dell’unità, della pace e della democrazia. Le piazze italiane appaiono tranquille, forse pure troppo, vista la ricorrenza. Ma in alcuni angoli iniziano a radunarsi piccoli gruppi. Sembrano riuniti per commemorare qualcosa, forse un anniversario storico. Celebrano l’Europa? Non sembra. I simboli che portano, le bandiere che sventolano, raccontano un’altra storia.
Non ricordano l’unione, ma la vittoria dell’Armata Rossa sulla Germania nazista. In Russia (e in buona parte dello spazio post-sovietico) il 9 maggio è noto come Giorno della Vittoria, una delle ricorrenze più importanti del calendario civile, dedicata al trionfo sovietico nella cosiddetta Grande Guerra Patriottica. Per decenni è stato un giorno di memoria condivisa, di lutto e orgoglio. Ma oggi, quella celebrazione è stata stravolta.

L’apologia di una nuova tirannide

Non si tratta più di rendere omaggio alla fine di un’epoca buia, ma di evocare la potenza imperiale perduta. Tra quei volti si scorgono simboli inquietanti: vessilli che non parlano di liberazione, ma di sopraffazione. Si vede la lettera “Z”, lo stesso marchio che campeggia sui carri armati russi mentre sventrano palazzi e distruggono vite in Ucraina. Quella lettera è diventata l’emblema della guerra, della repressione, dell’aggressione a chi rivendica il diritto di decidere il proprio destino.

Quella che dovrebbe essere una ricorrenza si trasforma così in uno spettacolo sinistro, una parodia della memoria. Non è più il ricordo della vittoria contro la tirannia, ma l’apologia di una nuova tirannide. La nostalgia diventa un pretesto, la memoria si piega alla propaganda. E sventola, tra quelle mani, una bandiera bianca e azzurra, attraversata da una striscia rossa come il sangue: il vessillo di un regime che ha preso il posto dell’Unione Sovietica nella sistematica repressione del popolo russo e nell’aggressione dei suoi vicini. Un simbolo che vorrebbe nascondere, sotto le spoglie della tradizione, il volto brutale dell’autocrazia.

La guerra più pericolosa: contro la verità

È qui che si insinua, silenziosa, la mano invisibile della propaganda. Non si presenta con carri armati o artiglieria, ma con simboli ambigui, con parole addomesticate che si adagiano nei testi scolastici, nei social network, nei telegiornali. Il suo fine non è la conquista dei territori, ma delle coscienze. È la guerra più pericolosa: quella contro la verità. La Federazione Russa ha fatto della manipolazione dell’informazione un’arma strategica. Riscrive la memoria, distorce la storia, colma le incertezze con menzogne lucidamente costruite. Non si accontenta di distruggere le città: vuole rifondare la realtà.
E in questo scenario, l’Italia si rivela uno dei fronti più esposti. Le campagne di disinformazione trovano terreno fertile: mappe scolastiche che legittimano l’occupazione, narrazioni che giustificano l’ingiustificabile, simboli totalitari che si riaffacciano nel nostro immaginario. L’invasione non è solo geografica: è spirituale, culturale, persino morale.

Il 9 maggio, che in passato poteva apparire come una data di liberazione, nei fatti segnava, per molti Paesi dell’Europa orientale, l’inizio di una nuova forma di dominio, quello sovietico. Oggi, il regime russo trasforma quella data in un rituale di esaltazione del potere, appropriandosi della memoria per giustificare nuove guerre. È un abuso della storia. Un sacrilegio civile.
Per questo è urgente opporre una forte resistenza a questa neolingua della propaganda, e tornare a chiamare le cose con il loro nome. Perché chiamare “vittoria” ciò che oggi rappresenta il 9 maggio in Russia sarebbe aberrante. C’è un’altra parola, che inizia sempre con la “v”, che calza molto meglio: vergogna.

Il giorno della Vergogna Russa

Giorno della Vergogna Russa: così ha scelto di rinominare questa data il Congresso Mondiale degli Ucraini, in un atto di resistenza culturale e, potremmo dire, morale. Non è solo uno slogan, ma un’iniziativa concreta, una petizione, sostenuta in Italia dai gruppi “Stop Propaganda Russa”, “Slava Ukraini” e “NAU”.
Si tratta di un appello alla responsabilità collettiva, un atto di difesa della dignità europea.

Nel cuore di questa petizione ci sono tre richieste:
1. Riconoscere la Russia come Stato sponsor del terrorismo, poiché l’aggressione sistemica che promuove non è solo militare, ma terroristica nei metodi e negli scopi.

2. Vietare l’uso apologetico di simboli sovietici e imperiali, che oggi rappresentano strumenti di intimidazione e legittimazione della guerra.

3. Applicare senza ambiguità le normative europee, per chiudere ogni varco alla penetrazione ideologica russa e proteggere l’integrità del nostro tessuto democratico.

Questa battaglia non è dell’Ucraina soltanto. È una battaglia per l’Europa, per l’anima della nostra civiltà. Ogni giorno di esitazione è un giorno in cui la menzogna si fa più audace e la verità più fragile.
Il Giorno della Vergogna Russa è un monito. Contro la manipolazione della storia, opponiamo la memoria consapevole. Contro l’apatia, la vigilanza democratica. Come diceva Camus, “ogni generazione si crede destinata a rifare il mondo”, ma il nostro destino è ben più difficile. Si tratta di difendere la realtà, prima che il suo volto svanisca sotto la maschera grottesca della propaganda di Putin.

Olena Kim e Pietro Borsari (coordinamento “Stop Propaganda Russa”)

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