Il brano dal disco "13 canzoni urgenti"
Quello stato di “Minorità” delle carceri italiane: Vinicio Capossela canta pena e coscienza di un ergastolano e di un magistrato
Si vede il sole a scacchi, si sente l’isolamento e lo sconforto, la voglia di non perdere neanche quel tempo, di ucciderlo, e la burocrazia che lo dilata perfino in gattabuia. Quel dimenticatoio della società si vede da Minorità, canzone che Vinicio Capossela ha pubblicato nel suo nuovo disco, 13 canzoni urgenti, una produzione La Cùpa, su etichetta Parlophone per Warner Music. “A chi servirà una pena che non sa cambiare ma solo consumare?”, scrive e canta l’autore, polistrumentista, cinque premi Tenco e direttore artistico dello SponzFest nell’ultimo capitolo di una carriera enciclopedica, vorace, poliglotta. Un brano che arriva dopo i casi dei pestaggi in carcere, il record di suicidi in cella, il caso dell’anarchico Alfredo Cospito.
Capossela ha definito i pezzi di questo disco, scritti e composti tutti insieme tra febbraio e giugno 2022, come “generati da un sentimento di urgenza nata dal pericolo e insieme dalla necessità di opporvi una reazione in affermazione della vita”. Disco polimorfo, una “diretta conseguenza del momento storico”, spiccatamente politico, anticipato dai brani La crociata dei bambini e La parte del torto. L’urgenza che infiamma l’autore è etica, educativa, esistenziale, umanistica, “di verità oltre le mistificazioni correnti”.
Minorità è stata ispirata dal libro Fine pena: ora scritto dal magistrato Elvio Fassone, ispirato da una corrispondenza durata ventisei anni tra un ergastolano e il suo giudice. Quale percorso riabilitativo, quale domanda di sicurezza sociale si esaudisce tramite l’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Così il condannato al giudice: “Se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia”. Una sorta di interrogativo che scuote e non lascia la coscienza del giudice.
Minorità è una canzone che “affronta un’altra drammatica urgenza dei nostri tempi, ovvero la situazione delle carceri, specchio fedele delle disparità sociali, istituzione che ha rimosso la rieducazione per collassare nella sola forma utile al sistema: la reclusione”. Il Comitato Europeo per la Prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (Cp), organo anti tortura del Consiglio d’Europa (CdE) ha bocciato le carceri italiane in un rapporto pubblicato appena il mese scorso. Le carceri italiane vivono costantemente in emergenza sovraffollamento: 56.319 (febbraio 2023) detenuti su 51.285 posti nei 189 istituti italiani. Il 2022 è stato definito “l’anno nero” dei suicidi in carcere, 84, uno ogni cinque giorni, 20 volte in più di quanto non avvenga nel mondo libero. I video dei pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere – per citare il caso più clamoroso e mediatico – hanno fatto il giro del mondo.
Riportiamo la nota in commento dello stesso Capossela, che si conferma per l’ennesima volta degno depositario del cantautorato italiano.
“Kant definiva l’Illuminismo come condizione di uscita dallo stato di minorità inteso come incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. La minorità è l’incapacità di essere padroni della propria volontà, l’incapacità di assumersi le proprie responsabilità e di diventare compiutamente adulti. Una condizione che ogni potere ha sempre coltivato, dagli antichi monarchi per i quali il popolo doveva essere un docile corpo senza testa propria, alla condizione di omologato individualismo in cui versiamo oggi. Ma c’è un’istituzione che più di ogni altra realizza la condizione di minorità con l’uso della forza: il carcere”.
“Il detenuto, alla base della cui detenzione dovrebbe esserci un percorso di riabilitazione atto a realizzare un cambiamento della persona, diventa un minore sul quale la patria potestà è esercitata da un sistema di regole in cui nessuno è direttamente responsabile. Questa organizzazione burocratica dell’esercizio dell’autorità si concretizza in una lunga catena che, da una porta a sbarre all’altra, trova il suo ultimo anello nella cosiddetta ‘domandina’, indispensabile formulario per ogni richiesta nei confronti dell’Autorità”.
“I documentati abusi nelle carceri, le violenze e le restrizioni dovute alla pandemia, il sovraffollamento e i suicidi, l’alta percentuale di recidiva, sono come urla dal silenzio che vengono dagli istituti penitenziari alla cosiddetta società civile. Nella composizione della popolazione carceraria si riflette in maniera palese tutta la disparità sociale ed economica su cui si regge la società, che fa sentire rivolta a tutti noi la domanda che l’ergastolano Salvatore pone al suo giudice nel bellissimo libro del magistrato Elvio Fassone Fine pena: ora: ‘Che sarebbe successo a Lei, se solo fosse nato dove sono nato io?’.
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