Non sarà un “patto di ferro”. Di certo non un “matrimonio d’amore”. Ma chi si aspettava il “grande gelo” tra Mosca e Pechino è rimasto spiazzato. Perché dopo un anno di guerra, le cose che uniscono Cina e Russia restano più di quelle che le dividono. La riprova la si è avuta ieri. Quando il capo della diplomazia del Partito comunista cinese Wang Yi ha espresso al presidente russo Vladimir Putin “il suo apprezzamento per la riconferma della volontà di Mosca di risolvere la questione dell’Ucraina attraverso il dialogo e il negoziato”.

Lo riporta una nota diffusa dalla diplomazia di Pechino, sull’incontro i tra i due, secondo cui “la Cina, come sempre, manterrà una posizione obiettiva ed equa e svolgerà un ruolo costruttivo nella soluzione politica della crisi”. Il partenariato strategico globale di coordinamento Cina-Russianon è mai rivolto a terzi, né è soggetto a interferenze da parte di terzi, per non parlare della coercizione da parte di terzi”, ha aggiunto Wang, secondo cui le relazioni bilaterali “hanno una solida base politica, economica e di civiltà”, nel mezzo della “multipolarizzazione del mondo e della democratizzazione delle relazioni internazionali che sosteniamo congiuntamente in modo conforme allo sviluppo dei tempi e dei desideri della maggior parte dei Paesi”. La Cina, pertanto, “è disposta a lavorare con la Russia per mantenere l’attenzione strategica, approfondire la fiducia politica reciproca, rafforzare il coordinamento strategico, espandere la cooperazione pratica, salvaguardare gli interessi legittimi dei due Paesi e svolgere un ruolo costruttivo nella promozione della pace e dello sviluppo nel mondo”.

La Cina auspica che tutte le parti coinvolte nella crisi in Ucraina possano creare le condizioni per il dialogo e trovare “modalità efficaci” per la soluzione politica del conflitto, ribadisce Wang Yi, durante l’incontro con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, tenutosi ieri a Mosca. “Quanto più complicata è la situazione, tanto meno possiamo rinunciare agli sforzi per la pace”, ha scandito il capo della Commissione Affari Esteri del Pcc, ribadendo un concetto già espresso negli incontri dei giorni scorsi. Si spera, ha aggiunto Wang, citato in una nota del ministero degli Esteri di Pechino, “che tutte le parti superino le difficoltà, continuino a creare le condizioni per il dialogo e il negoziato e trovino una modalità efficace per la soluzione politica”.

Le relazioni tra Russia e Cina sono importanti per “stabilizzare la situazione internazionale”, rimarca Putin, alla luce dell’incontro con Wang Yi, il diplomatico cinese di più alto rango, in visita a Mosca. Per il presidente russo, inoltre, l’obiettivo di un fatturato commerciale di 200 miliardi di dollari tra Russia e Cina sarà raggiunto prima del previsto. Wang Yi ha detto che “le relazioni tra la Russia e la Cina non sono dirette contro Paesi terzi, ma non cedono nemmeno alle pressioni di questi ultimi”. Per Wang la Cina è “pronta ad approfondire la fiducia politica reciproca e la cooperazione strategica con la Russia”. Quanto allo zar del Cremlino, quella di ieri è stata la sua giornata “pop”. “Quando siamo insieme, non abbiamo eguali, la forza è nell’unità”. Così Putin, parlando al concerto-comizio organizzato nello stadio Luzhniki a Mosca. “Per l’unità del popolo russo: Urrah!”, ha aggiunto. E il pubblico ha scandito rispondendogli: “Urrah!”. Ha proseguito Putin: “In questo momento c’è una battaglia in corso sulle nostre frontiere storiche, per il nostro popolo, viene combattuta da uomini coraggiosi. Stanno combattendo eroicamente, coraggiosamente. Siamo orgogliosi di loro”.

L’intera nazione russa è “il difensore della patria”, ha aggiunto. “In questo senso, oggi, proteggendo i nostri interessi, proteggendo la nostra gente, proteggendo la nostra cultura, lingua, territori, la nostra gente oggi è il difensore della patria. Inchinatevi a tutti!”. In un altro passaggio del comizio, il capo dello Stato ha affermato che “una delle preghiere più famose inizia con le parole ‘Padre nostro’. Padre, e in questo c’è qualcosa di molto vicino a ogni persona, perché diciamo anche ‘madre patria’: la questione riguarda la famiglia, ma è qualcosa di enorme, potente e anche vicino al cuore di ogni persona: questa è la Patria ed è una famiglia. E in generale, la Patria è una famiglia nei nostri cuori”. Tra un discorso pubblico e un incontro diplomatico, Putin ha trovato anche il tempo di cancellare il decreto sulle linee di politica estera risalente al 2012 in cui metteva tra gli obiettivi la cooperazione con la Ue per la creazione di “un unico spazio economico e umano dall’Atlantico all’Oceano Pacifico” e lo sviluppo delle “relazioni con la Nato”. Lo si legge sul sito del Cremlino. Tra gli obiettivi indicati vi era anche la “soluzione del problema della Transnistria basato sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale” della Moldavia, anch’essa revocata con il decreto.

La “grande” offensiva della Russia in Ucraina è già in corso, ma è di una tale qualità che non tutti la vedono. A sostenerlo è Kyrylo Budanov, capo dei servizi segreti militari di Kiev, in un’intervista rilasciata a Forbes. Budanov è convinto che i russi abbiano un “compito strategico”: raggiungere i confini amministrativi delle regioni di Donetsk e Luhansk entro il 31 marzo. Ovviamente, aggiunge, “questo è ciò che sognano, ma non saranno in grado di farlo”. Le battaglie decisive al fronte saranno quelle della primavera e, conclude il capo dei servizi segreti militari di Kiev, potrebbero diventare un punto di svolta nella guerra. Una guerra che coinvolge sempre più l’Italia. “Fornendo armi a Kiev, l’Italia, forse contro la propria volontà (perlomeno contro la volontà di gran parte dei suoi cittadini), si fa trascinare in una contrapposizione militare, diventando parte in causa nel conflitto”. Lo dice l’ambasciatore russo Sergey Razov in un’intervista all’agenzia Ansa. “In termini di prospettiva – sottolinea il diplomatico russo – rifornire il regime di Kiev di armi ed equipaggiamenti militari sempre più sofisticati non avvicina la pace, anzi non fa che alimentare e inasprire la guerra, moltiplicando le vittime, la distruzione e la sofferenza”.

Mosca monitora attentamente le vicende politiche del belpaese, soprattutto quelle legate alla guerra. “In un ennesimo attacco di rabbia impotente, l’abitante del bunker si è scagliato contro Berlusconi, perché questi ha ricordato al regime di Kiev del Donbass”. Così la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha commentato le critiche del presidente ucraino al leader di Forza Italia. Zakharova ricorda quanto detto da Berlusconi sui bombardamenti alleati su Milano quando era bambino, e poi conclude: “In modo banale Zelensky ha paragonato il proprio regime a quello fascista e l’operazione militare speciale russa alle azioni degli Alleati nella Seconda guerra mondiale. Gli è scappata la verità”. Al conflitto sul campo si accompagna, instancabilmente, quello delle parole. Gravi, pesanti. È “assolutamente chiaro” che gli Stati Uniti difenderanno “letteralmente ogni centimetro della Nato”. Lo ha detto il presidente americano, Joe Biden. “La posta in gioco non è solo l’Ucraina, è la libertà”, sottolinea Biden al suo arrivo al Palazzo presidenziale di Varsavia per un vertice dei Nove di Bucarest, “Le cose sono cambiate radicalmente, dobbiamo assicurarci di cambiarle di nuovo”.

A un anno dall’invasione dell’Ucraina Putin ‘’non si sta preparando alla pace, ma a un’altra guerra’’, sentenzia il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg nel corso di un incontro a Varsavia con il presidente americano e i leader dei ‘Nove di Bucarest’. L’appello di Stoltenberg agli alleati è a dare all’Ucraina tutto il sostegno di cui ha bisogno ‘’perché la storia non si ripeta’’ e citando la Georgia, la Crimea e il Donbass dice che “abbiamo visto il modello russo di aggressione per molti anni”. “Non possiamo permettere alla Russia di continuare a intaccare la sicurezza europea. Dobbiamo interrompere questo ciclo di aggressione russa’’, ha aggiunto Stoltenberg.

“Se gli Stati Uniti vogliono sconfiggere la Russia, allora abbiamo il diritto di difenderci con ogni arma, comprese quelle nucleari”. A scriverlo sul suo canale Telegram è l’ex presidente russo Dmitry Medvedev. Una cosa appare certa, a Washington come a Bruxelles (Nato), a Mosca come nelle più avvertite cancellerie europee: i discorsi di Biden e Putin svelano che la guerra sarà ancora lunga. Entrambi i leader sono ricorsi alla retorica dello scontro esistenziale. Per il capo del Cremlino dall’esito del conflitto dipende la sopravvivenza stessa della Russia. Per l’inquilino della Casa Bianca aiutare Kiev significa difendere il bene supremo: la libertà. Non solo degli ucraini ma di tutti. E quando si “arma” la retorica c’è solo da temere il peggio.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.