Quando la sirena dell’allarme aereo ha lanciato il suo ululato, Zelensky e Biden hanno subito deciso che era meglio parlare all’aperto, al gelido sole mattutino davanti al monastero di marmo bianco e accecante di San Michele. Zelensky è stato informato che sul confine bielorusso volava un Mig-23 russo armato di missile ultrasonico irraggiungibile dalla contraerea ucraina. Sono stati lasciati soli senza interpreti. Unico fotografo ammesso, l’americano Daniel Berehulak del New York Times.

Hanno passeggiato a lungo fermandosi, riprendendo dopo lunghe pause. Da Mosca la Tass diffondeva un dispaccio in cui sosteneva che la storia del Mig e del missile era una messinscena. Ai russi non sarebbe mai saltato per la mente di uccidere il presidente americano. Il commento da Mosca era fluviale: Biden si sta facendo propaganda per candidarsi al secondo mandato. Biden e Zelensky non hanno assolutamente nulla da dirsi ma hanno bisogno di massicce dosi di protagonismo per illudersi. Già, ma che cosa è andato a dire di persona Biden a Zelensky lontano da tutti e dopo un viaggio fulmineo da Varsavia dove si trovava? Si è fatto portare da Zelensky in modo discreto. Si è fermato nell’ambasciata americana un quarto d’ora. Poi mistero assoluto. Ma la sostanza è nota, benché ogni dettaglio resti segreto: Biden ha confermato al presidente ucraino che l’America seguiterà a fornirgli armi e munizioni per difendersi finché sarà necessario. Che vuol dire? La linea Biden non è la stessa di alcuni Paesi europei capitanati dalla Francia secondo cui questa è l’occasione per rifare l’Europa e il mondo.

Come? Accettando la sfida di Putin, battendolo sul terreno militare, facendolo uscire per sempre di scena insieme al suo entourage. Ma Macron cerca con altri Paesi del Nord Europa che il gigantesco Stato russo, un ottavo delle terre emerse, sia smembrato e che la Russia bianca, quella di Tolstoj e Cechov, vada con l’Europa guidata dalla Francia, con la Germania di Scholz al traino benché riluttante.
Quello che vuole Biden è il contrario: non è interessato a infliggere alcuna sconfitta umiliante a Putin e non evoca nessun processo di Norimberga: il suo scopo più volte dichiarato è che il Presidente russo si renda conto che la sua operazione non ha alcuna probabilità di vincere e che è ora di sedersi per negoziare con gli ucraini: forse la legalizzazione della già annessa Crimea potrebbe bastare. La situazione di Biden negli Stati Uniti ha appena cominciato a consolidarsi dopo il lungo periodo delle minacce di Trump pronto a tornare.

I repubblicani hanno chiaro che la situazione è in stallo ma l’immagine di Biden è cresciuta, perché da quella di decrepito inciampante che non ricorda i nomi delle persone è improvvisamente apparso come un candidato papabile per il secondo turno malgrado l’età avanzatissima. I democratici si stanno lentamente riprendendo e i posti di lavoro sono cresciuti in maniera straordinaria. Anche l’inflazione comincia a mordere meno del temuto. Il confronto con la Cina, dopo la faccenda del pallone aerostatico sta tornando a livelli meno nevrotici anche se tutti sanno che prima o poi il nodo di Taiwan verrà al pettine per via militare. Ma non è ancora il tempo. In Russia, intanto, Putin ha politicamente vinto perché la sua stabilità non è stata mai così discussa come in questo momento di insuccessi militari. La nazione è militarizzata, i programmi televisivi sono ispirati a una propaganda patriottica che fa continuamente ricorso emotivo alle memorie di guerra contro il nazismo. Gli studenti vanno a passare i pomeriggi nei distretti militari per imparare a usare le armi o comunque per sentirsi vicini ai loro soldati.

Naturalmente non hanno la più pallida idea di come stiano realmente le cose sul campo di battaglia ma questo non ha alcuna importanza. Avanza una destra dalle incerte radici: attacca gli omosessuali contro i quali Putin inasprisce le leggi, rimpiange i tempi gloriosi dell’Unione sovietica ma è dichiaratamente di estrema destra. La prevista debacle economica legata alle sanzioni dell’Occidente però non si è vista. Anzi, le vendite del petrolio in Oriente sono andate molto meglio del preventivato benché tutti sappiano che gran parte del grezzo destinato alla Cina finisca nelle mani di contrabbandieri e rivenditori che lo vendono agli occidentali. Il tenore di vita medio sembra intatto. Il patto sociale di Putin con il suo popolo era chiaro fin dall’inizio: io vi lascerò vivere una esistenza allegra con ristoranti sempre pieni, sale da ballo in festa e grandi raduni di associazioni giovanili.

Ma il grande nemico che il Cremlino vede sconfitto finalmente sul suo territorio è la forma di governo più odiata e maledetta anche formalmente in questi mesi dal metodo dello stesso Putin: la liberaldemocrazia, questa sostanza tossica che l’Occidente ha inoculato nel popolo russo per quasi trent’anni pur di renderlo schiavo delle sue leggi. Ogni manifestazione contro la guerra e contro Putin viene però repressa in un modo molto più efficace dai tempi del Kgb: chiunque venga trovato in atteggiamento ostile al governo viene trattenuto nel posto di polizia per una notte e avvertito che al terzo arresto chiunque può essere espulso o deportato. Non è detto che l’economia possa seguitare a reggere se la guerra dovesse diventare più costosa, ma per ora la situazione è stabile.

Questa stabilità ha successo proprio negli Stati Uniti, dove i repubblicani tradizionalisti e trumpiani guardano a Putin come a uno di loro: vuole legge ed ordine, pretende che il suo paese sia rispettato e temuto, difende la famiglia da ogni diffusione dell’omosessualità e delle questioni di genere, Dio patria e famiglia sono tornate a essere un’ideale russo molto condiviso benché la maggior parte della popolazione ex sovietica non sia religiosa. La diffusione di questa mentalità che si traduce negli scontri periferici che accompagnano l’eterna campagna elettorale americana, ha costretto l’amministrazione democratica a rivedere la sua posizioni di partenza in politica estera. In fondo, come dice lo stesso Biden, gli Stati Uniti hanno una vocazione al commercio e alla ricchezza e non all’infelicità dei cittadini. Chi non la pensa affatto come Biden è il presidente francese Emmanuel Macron che sta tessendo una tela molto rischiosa e che è certamente una delle prime cause dell’incontro improvviso di ieri fra il presidente americano e quello ucraino. Macron persegue la politica gollista di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, che quindi seghi via dal corpaccione della grande Russia la parte europea di quel paese.

Con lui sono d’accordo i polacchi, i bulgari, i cechi, i rumeni, più svedesi e finlandesi: cioè tutti i paesi e i popoli che sono sempre vissuti nel terrore di una nuova occupazione sovietica o comunque dalla sua minaccia. Macron sta armando con mortai di ultimissima generazione brandelli di quello che potrebbe diventare un esercito di liberazione russo stanziato in Ucraina dalla parte degli ucraini. Non si tratta di grandi numeri ma la tendenza c’è. E anche Macron corteggia Zelensky prospettandogli un futuro senza più incertezze: vittoria campale contando sul fatto che Putin non utilizzerà le atomiche e una grande conferenza europea e mondiale per una definizione dei veri poteri nei continenti: alla Francia post imperiale andrebbe l’Europa di Napoleone, al Regno Unito un’alleanza subalterna con gli Stati Uniti ma per sempre fuori dall’Europa.

Macron è stato l’unico leader occidentale ad affermare che Vladimir Putin, pur avendo commesso un gravissimo errore nello scatenare questa guerra, ha tuttavia ragione nel dire che le sue frontiere sono poco sicure e vanno garantite. Nessun altro leader europeo o un mondiale lo ha fatto, nemmeno la Cina di Xi Jinping. Macron sta davvero tessendo una trama russa che si svolge in Russia con la partecipazione di forze importanti di quella società e di quelle gerarchie che aspettano la sconfitta di Putin per prendere il suo posto? Probabilmente sì ma si entrerebbe nel campo delle ipotesi spericolate e non provate. Certo è che l’America fornirà a Zelensky soltanto le armi indispensabili per impedire la vittoria di Putin per poi accogliere di nuovo Putin e la sua Russia come se nulla fosse successo. La Francia insiste fortemente per il riarmo dell’Europa cercando di trascinarsi dietro la riluttante Germania di Scholz. Per ora i russi stanno a guardare in attesa della mitica grande battaglia di primavera che secondo Zelensky non ci sarà mai perché i russi non hanno le forze per lanciarla.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.