Non è solo l’Italia a essere sconvolta per la notizia della morte, arrivata nel pomeriggio, all’improvviso di Raffaella Carrà. La showgirl, attrice, ballerina, cantante e conduttrice ha condotto trasmissioni e cantato canzoni tradotte nella lingua iberica che l’hanno resa una stella assoluta della televisione anche in Spagna. Un simbolo forse ancora più forte, in terra iberica, in un Paese da poco uscito da un regime. Un’icona che dall’estero si riesce a vedere ancora meglio nella sua vispa e pregnante portata internazionale.

A rendere nota la sua morte, all’Ansa, il suo ex compagno e collaboratore di tante trasmissioni Sergio Japino. Carrà era stata colpita da una malattia. Raffaella Maria Roberta Pelloni, nata a Bologna nel 1943, era sbarcata in Spagna nel 1976. La data non è trascurabile: l’anno prima era morto Francisco Franco, il caudillo, il dittatore che dopo la Guerra Civile aveva guidato il Paese senza interruzioni. Una Spagna in piena transizione verso la democrazia. La soubrette italiana rappresentò, forse anche più che in Italia, un simbolo di emancipazione e di liberazione e di sensualità e di leggerezza. E infatti l’anno scorso è uscito il film Explota Explota, una commedia musicale e sentimentale con le canzoni di Carrà, ambientata nell’epoca post-franquista.

Il primo programma che le affidarono fu La Hora de Raffaella. Andava in onda dopo le partite di calcio. Un successo fin da subito. E fu solo il primo. Non solo Spagna, ma anche altri Paesi ispanofoni, dal Cile all’Argentina. I successi esplosi in Italia diventarono tormentoni anche in Spagna. Hay che venir al Sur era la versione in lingua castellana di Tanti Auguri, per esempio. Si dedicò a una parentesi di quattro anni in Spagna all’inizio degli anni ’90, partendo da Hola Raffaella per RTVE, seguita da milioni di spagnoli. Fu anche premiata: il Re Juan Carlos e il Principe Felipe la insignirono come Dama al Orden del Merito Civil. Onorificenze arrivate prima in Spagna che in Italia.

El País ricorda i suoi esordi a 18 anni a Roma dopo essersi trasferita da Bologna, il suo stakanovismo, i 25 album in studio e gli oltre 60 milioni di dischi venduti, lo scandalo dell’ombelico scoperto e l’indignazione della Chiesa – “Il Vaticano restò muto”, disse in un’intervista dopo il Tuca tuca con Alberto Sordi – la sua allergia ai social network, le 16 Muratti al giorno che fumava. E quindi il suo essere simbolo anche della comunità LGBTQ+, “che sempre ha visto in lei una musa della libertà e della difesa dei diritti civili in un periodo nel quale appuntarsi a questa battaglia non era così facile come oggi. E molto prima, ovviamente, che lo facessero artisti come Madonna. E lei sorrideva divertita. ‘Morirò senza saperlo. Sulla mia lapide lascerò scritto: Perché piacevo così tanto agli omosessuali?’”.

Anche El Mundo ripercorre la carriera in Spagna, la presentazione dei programmi Fiesta Mediterranea in Catalogna e Sevilla Sogna a Siviglia con Joaquin Prat prima dell’esplosione sul piccolo schermo, e quindi il termine “carrambata”: “Situazione che ricorda momenti tipici del programma televisivo Carràmba! che sorpresa, condotto da Raffaella Carrà dal 1995”, come scriveva la Treccani. La Vanguardia ricorda che il World Pride celebrato a Madrid nel 2017 la scelse come Icono Gay Mundial tra gli applausi. “Garantiva un audience immediato”.

“Raffaella Carrà è stata una donna che ha ispirato diverse generazioni con allegria, coraggio e impegno. La sua musica ha reso felici i nostri cuori, il suo spirito libero ha riempito le nostre anime. Riposa in pace mia cara”, ha scritto su Twitter il Primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, a riprova del trasporto della Spagna per il lutto. Il tweet è stato ripreso dall’account istituzionale di Palazzo Chigi. “Abbiamo perso una stella della televisione, una grande artista, una donna che ha fatto parte della vita quotidiana di generazioni di spagnoli. Io ero un bimbo quando debuttò in televisione. La ricorderemo sempre: la sua allegria, le sue canzoni, il suo bell’accento italiano”, il post del ministro della Cultura José Manuel Rodriguez Uribes.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.