Alle Radici
La piazza rossa
ReArm Europe, la difficoltà storica nel conciliare due anime della sinistra italiana

Il dibattito interno che ha attraversato il PD in occasione della votazione sul piano ReArm Europe della Commissione Europea non è soltanto espressione di una pluralità di vedute sul tema della difesa comune, ma riflette anche una difficoltà storica nel conciliare due anime della sinistra italiana: una pacifista e l’altra più realista. Questa tensione ha segnato profondamente la cultura politica della sinistra nel corso dei decenni, influenzata dalle trasformazioni geopolitiche, dall’evoluzione del movimento operaio e dalle scelte strategiche dei partiti di riferimento.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la sinistra italiana si divise tra chi, come il PCI, si opponeva all’ingresso dell’Italia nella NATO e chi, come il PSI, pur mantenendo un’impronta antimilitarista, riconosceva la necessità di una difesa nazionale. Negli anni ’60, il tema della corsa agli armamenti divenne centrale: il PCI e il PSI, soprattutto dopo la scissione del PSIUP, si schierarono contro l’installazione delle basi missilistiche NATO in Italia e contro la proliferazione nucleare. Il PCI promosse l’idea di un disarmo bilanciato tra i due blocchi, cercando di mediare tra la necessità di sicurezza e la critica alla militarizzazione dell’Europa.
Negli anni ’70, con la crescita dei movimenti pacifisti e della contestazione, la sinistra radicalizzò ulteriormente le proprie posizioni, opponendosi ai piani di modernizzazione della NATO. A partire dagli anni ’80, poi, il quadro si fece più complesso. L’installazione dei missili Cruise e Pershing in Europa scatenò nuove proteste pacifiste, sostenute dal PCI di Enrico Berlinguer, che in quegli anni assumeva un profilo sempre più indipendente da Mosca pur mantenendo una posizione critica nei confronti della NATO. Il PSI di Bettino Craxi, invece, adottò un approccio più atlantista e, rompendo con la tradizione antimilitarista socialista, sostenne l’installazione dei missili a Comiso, in Sicilia, nel quadro di un difficile compromesso con gli Stati Uniti.
Con la fine della Guerra Fredda, la sinistra italiana cambiò progressivamente approccio. Il PDS (ex PCI) pur mantenendo una retorica pacifista, cominciò a sostenere operazioni militari in ambito ONU e NATO, come in Bosnia (1995) e Kosovo (1999). Il pacifismo radicale sopravviveva nei movimenti extraparlamentari, mentre DS e Margherita – poi confluiti nel PD – adottarono una posizione più pragmatica sul ruolo della difesa, anche alla luce delle nuove sfide globali.
Negli anni 2000 e 2010, il PD ha sostenuto l’integrazione europea nel settore della difesa, pur con qualche resistenza interna, specialmente da parte delle correnti più vicine alla sinistra pacifista (ex DS e movimenti antimilitaristi o cattolici). Il recente dibattito su ReArm Europe riflette questa tensione storica, ma le sfide attuali impongono al PD una scelta chiara: il progetto di un’Europa autonoma anche e soprattutto sul piano della difesa non è più un’opzione, ma una necessità per assicurare la sopravvivenza stessa del progetto europeo.
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