L'appello al governo
Recovery Fund, le linee guida di Conte e Gualtieri non corrispondono a quelle di Strasburgo
Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Nemmeno nella contabilità e finanza pubblica. Nell’audizione dello scorso martedì in Commissione finanze della Camera, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha finalmente messo sul tavolo le carte del Governo sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), spiegando il calendario di scadenze che attende l’Esecutivo da qui al 2022, al termine del quale l’Italia dovrebbe vedere le risorse europee affluire nel proprio bilancio. Una operazione verità che purtroppo conferma tutti i timori che abbiamo da sempre espresso su tutto il processo che regge il piano Von der Leyen per la ripresa economica del Vecchio Continente. Il ministro Gualtieri ha subito fatto capire che le risorse europee non arriveranno presto e non sono scontate. Per ottenerle sarà necessario intraprendere un lungo e molto articolato percorso, pieno di incognite legate, in primis, all’accettazione del piano europeo da parte di tutti gli Stati membri.
Un requisito, questo, necessario, senza il quale il maxi-piano europeo sostenuto da Angela Merkel rischia di cadere come un castello di carte. Cominciamo dall’Europa. Dopo il difficile accordo raggiunto nel corso del Consiglio Europeo dello scorso 17 luglio tra tutti i capi di Stato e di Governo, accordo che ha istituito il Next Generation UE Fund (Ngue), e, dopo che in precedenza la Ue aveva già approvato gli altri tre strumenti finanziari (Mes, Bei e Sure) del piano complessivo, i Parlamenti nazionali dovranno ratificare questo accordo, anche sulla base di un Regolamento definitivo sul funzionamento del fondo che però, ad oggi, ancora non è stato emanato. Anche perché la fattibilità di quel piano dipende dall’introduzione di nuove risorse proprie a bilancio che sono ancora in fase di perfezionamento tra Parlamento e Consiglio europeo.
Infatti, nella giornata di mercoledì 16 settembre, il Parlamento europeo ha votato e adottato il parere legislativo sulla decisione relativa al sistema delle risorse proprie (Drp). Il parere del Parlamento consente al Consiglio di adottare la DRP e di avviare il processo di ratifica in 27 Paesi dell’Unione europea. Il testo è stato adottato con 455 voti favorevoli, 146 contrari e 88 astensioni. Ratifica che non sarà facile, in ragione di possibili duplicazioni già introdotte nella normativa nazionale e, dunque, potenzialmente ridondanti rispetto alle prescrizioni europee. Tra le risorse proprie ci sarà una tassa sui rifiuti plastici non riciclati e, probabilmente, una digital tax sui colossi del web. Così come non sono ancora state definite nel dettaglio le norme che regoleranno il ricorso al mercato per i prestiti da concedere agli Stati tramite il Next Generation UE Fund, pari alla cifra monstre di 750 miliardi di euro, da effettuarsi tramite un collocamento mai visto in precedenza sul mercato dei bond europei. Non si tratta di noccioline, e per gestire l’intero processo occorrerà tempo e capacità di debt management, che non è scontato le istituzioni europee possano avere.
Poi c’è l’Italia, con il governo Conte che è fermo ancora alle sue linee-guida senza una quantificazione, un numero, una data, o una due diligence pensata per il monitoraggio del tiraggio delle misure già adottate (i 100 miliardi con i relativi decreti attuativi ancora da perfezionare). Più precisamente, i famosi 209 miliardi di euro del Next Generation UE Fund potranno essere o no iscritti nei saldi della legge di bilancio, dal momento che sono subordinati all’approvazione del Pnrr che per stessa ammissione del premier Conte sarà approvato solo il prossimo gennaio? E quelli relativi agli altri 3 pilastri finanziari, Sure, Mes e Bei, pari a quasi 100 miliardi, saranno iscritti nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef) e nel Documento programmatico di bilancio (Dpb) e poi nella legge di bilancio?
Sul nesso tra il Recovery Fund e legge di bilancio, il ministro Gualtieri ha riconosciuto che questo è un punto molto delicato ma importante. Ha poi affermato che i prestiti del fondo, tecnicamente, non andranno strettamente in bilancio ma nel conto di tesoreria, come già avviene per i fondi europei. Come si fa, visto che il fondo non è stato ancora istituito da nessuna norma e potrebbe, banalmente, essere non ratificato dai Parlamenti nazionali? Secondo il ministro Gualtieri questo si fa anche con le normali risorse del bilancio comunitario. Ovvero, si tiene conto di queste risorse nelle previsioni macroeconomiche, anche se di fatto non ci sono ancora. Si può valutare se ipotizzare diversi quadri programmatici nella Nadef che, al di là della questione contabile, tengano conto di queste risorse. Nelle linee guida, ha infine riconosciuto il ministro, non ci sono numeri, che arriveranno solo nella Nadef e nel Dpb del 15 ottobre. I dettagli saranno invece presentati con la versione definitiva, prevista soltanto per gennaio, prima che le istituzioni europee li vaglino e prendano una decisione definitiva.
E qui arriviamo allora alla domanda delle domande: i fondi comunitari del Ngue Fund potranno essere contabilizzati nella prossima legge di bilancio? Per poter rispondere a questa domanda è utile ricordare che i principi elementari della normativa di contabilità, risalenti al regio decreto 2440 del 1923 o, volendo trovare una fonte più recente, alla legge 196 del 2009, impongono che non possa iscriversi a bilancio una partita di spesa se non in forza di una norma vigente, di un contratto stipulato e valido o di una sentenza esecutiva. In particolare, l’articolo 21 comma 2-ter della legge 196 stabilisce che in bilancio siano indicati l’ammontare delle «entrate che si prevede di accertare e delle spese che si prevede di impegnare». È chiaro che, relativamente ai fondi europei del Ngue Fund, non essendoci al momento alcun titolo giuridico valido per pretendere alcunché dal lato delle entrate né tantomeno degli stanziamenti e impegni di spesa validi, queste non possono essere in alcun modo iscritte a bilancio.
Allo “stato dell’arte” abbiamo, infatti, solo le conclusioni del Consiglio europeo dello scorso 17 luglio, dove sono state approvate le cifre generali, i titoli dei programmi dell’Rrf e le linee-guida recentemente approvate dalla Commissione. Manca ancora tutto il resto: i Recovery Plan nazionali, le approvazioni europee sul regolamento che determina le norme sul funzionamento del fondo, la decisione sulle risorse proprie da iscrivere nel bilancio comunitario, la ratifica da parte dei Parlamenti nazionali e quant’altro necessario. In termini pratici ed operativi, manca quasi tutto. Davvero troppo poco per poter iscrivere in bilancio le risorse europee, come vorrebbe fare il governo Conte (forse). Con questo calendario, poi, è del tutto impossibile che anche soltanto un euro arrivi prima del prossimo aprile. Credeva, il Governo, che dopo il Consiglio europeo del 17 luglio la strada sarebbe stata in discesa. Purtroppo non aveva fatto i conti con tutto l’apparato burocratico, normativo, politico, economico e finanziario che un piano senza precedenti come quello Von der Leyen doveva necessariamente prevedere. Ora ha cominciato ad accorgersene.
Nel frattempo, dopo aver letto le linee guida presentate dalla Commissione Europea, siamo venuti a scoprire che quelle presentate in Parlamento dal Governo sono già sorpassate e, quindi, sarà probabilmente tutto da rifare. La Commissione europea ha infatti definito una guida per l’attuazione del Recovery Fund nella sua strategia annuale per la crescita sostenibile del 2021 (Asgs), incoraggiando gli Stati membri a includere nei loro Recovery Plan nazionali, di futura presentazione, investimenti e riforme nei seguenti settori di punta (flagshipareas): power-up (tecnologie pulite, sviluppo e uso delle energie rinnovabili); rinnovamento (miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici pubblici e privati); ricarica e rifornimento (promozione di tecnologie pulite per accelerare l’uso di trasporti sostenibili, accessibili e intelligenti, stazioni di ricarica e rifornimento e l’estensione del trasporto pubblico); connessione (introduzione rapida di servizi rapidi a banda larga in tutte le regioni e le famiglie, comprese le reti in fibra ottica e 5G); modernizzare (digitalizzazione della pubblica amministrazione e dei servizi, compresi i sistemi giudiziari e sanitari); scale-up (aumento delle capacità del data cloud industriale europeo e lo sviluppo dei processori più potenti, all’avanguardia e sostenibili); reskill e upskill (adattamento dei sistemi educativi per sostenere le competenze digitali e la formazione educativa e professionale per tutte le età).
Ecco, queste le sette linee guida che ci pare non corrispondano a quelle presentate in Parlamento dal Governo. L’esecutivo Conte sembra aver lavorato negli ultimi mesi su priorità del Pnrr che non rispecchiano quelle stabilite dalla Commissione Europea. Speriamo non sia così. In caso contrario, il Governo sarà costretto a fare marcia indietro e a riscrivere tutto il piano in funzione delle linee-guida europee, perdendo altro tempo utile. Considerando i tempi necessari, poi, alle istituzioni europee per valutare i piani (il nostro, se tutto andrà bene, sarà presentato nel prossimo gennaio), è matematico che le prime risorse non si vedranno se non nella seconda metà del prossimo anno. Con quali risorse, ci chiediamo, il governo riuscirà ad affrontare i prossimi autunno, inverno e primavera 2020-2021?
Un’ultima riflessione: perché il Governo ha deciso di presentare, nelle sue linee guida, delle “missioni” (digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale, di genere e territoriale; salute) articolate in cluster progettuali che per terminologia e contenuti non sono sovrapponibili alle flagship (punti bandiera) indicate dalle linee guida pubblicate dalla Commissione il giorno successivo? Come mai questo disallineamento di programmazione? È solo forma lessicale o c’è divergenza sostanziale? Infine, un cattivo pensiero: le flagship della Commissione europea sembrano ricalcare i progetti presentati da Germania e Francia nei loro Piani nazionali. Non sarà che le famose flagship sono state scritte dalle cancellerie di Berlino e di Parigi su misura per loro esigenze economiche? Con al solito l’Italia ai margini?
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