“Mamma è morta il 12 aprile 2021 mentre era ricoverata in ospedale dopo aver contratto il Covid. Dal 19 aprile che hanno fatto l’autopsia ad oggi non ho ancora mai saputo nulla di cosa le è capitato. Anzi, da persona offesa mi sono ritrovato indagato”. È questo il racconto di Raffaele Colaiacolo, cantante e ex sosia di Kekko dei Modà, figlio di Giuseppina Cortese, 74 anni, morta nell’ospedale dove era finita qualche giorno prima dopo alcune complicazioni.
“Mi ha detto al telefono: ‘mi raccomando canta sempre’”, racconta Raffaele al Riformista, da quel momento non l’ha più sentita. L’uomo è ancora molto addolorato per la perdita della mamma e non si dà pace perché vorrebbe sapere cosa è successo. “Per legge ci sono 60 o 90 giorni di tempo per rispondere o a me o all’avvocato ma non ci hanno calcolati proprio – racconta Raffaele, riferendosi all’autopsia di cui mesi dopo ancora non conosce l’esito – Se non mi arrivava questa notifica in cui da persona offesa passo a persona imputata, in cui c’è scritto che io avrei rotto l’ospedale e avrei fatto del male ad un operatore sanitario, io non sapevo che la mia denuncia era stata archiviata e stavo ancora aspettando la risposta che lo Stato mi dava dell’autopsia di mia mamma”.
Raffaele ripercorre la sua versione di quello che accadde in quelle drammatiche ore. “Mia mamma era sola come un animale in una stanza, con la porta chiusa e senza nemmeno un campanello – racconta Raffaele – Non poteva chiedere aiuto a nessuno, l’unico contatto esterno ero io. Quella sera mamma mi chiamò per chiedere aiuto perché era saltato un tubo dalla mascherina e non riusciva a respirare più. Aveva sul volto una mascherina per l’ossigeno ben aderente e non riusciva a togliersela, per cui non respirava. Poche ore dopo l’ultima chiamata in cui mi diceva che stava morendo”.
“Dopo la prima chiamata di mia mamma, dalle 18.25 fino alle 19.,30 ho cercato di mettermi in contatto senza successo con i medici del reparto per segnalare la difficoltà di mia mamma – continua – Quindi ho chiamato la polizia e mi sono recato in ospedale. Lì c’era già una volante. Io sbraitavo perché ero in ansia per quello che stava succedendo, gli agenti però mi hanno tranquillizzato che due loro colleghi erano saliti nel reparto per verificare cosa stesse succedendo. Erano le 20.30 quando i due agenti mi dissero che mia mamma aveva avuto un arresto cardiocircolatorio ma che i medici la stavano assistendo e l’avevano presa in tempo. Potevo stare tranquillo e chiamare mia mamma dopo una mezz’ora quando la situazione si sarebbe riappacificata”.
“Quando sono tornato a casa mi sentivo la mano di mia madre sulla spalla – dice Raffaele – la sentivo vicina. Chiamai in ospedale e mi dissero che mamma era morta. Io ero sconvolto quando sono andato in ospedale per parlare con i medici ma non ho mai rotto nulla, porte o macchinari. Certo, l’agitazione ci stava, mia mamma era morta in quel momento, non ero sereno e nemmeno calmo. Gesticolavo agitato e parlavo con i medici ma non ho mai messo una mano addosso a un medico. C’era un operatore sanitario che mi spintonava e mi tratteneva. Gli ho detto per tre volte di non toccarmi. Alla quarta lui mi ha risposto ‘stai calmo, tu non sai a chi appartengo’. Così è scattata la rissa. Io lo spinsi, lui tentò di aggredirmi e io ho reagito. Così è partita la lite ma io non ho mai rotto il naso, occhi o bocca a questa persona. Tra l’altro dopo 1 ore circa è tornato da me per chiedermi scusa anche se voleva ancora avere ragione. E così ora sono una persona indagata”.
Raffaele già qualche mese fa ha raccontato al Riformista quel tragico episodio sottolineando che era dispiaciuto per la reazione che aveva avuto in quel momento di disperazione ma che c’era anche stata una stretta di mano chiarificatrice. Non si aspettava assolutamente mesi dopo di essere indagato per quelle violenze come invece è accaduto. Dopo quel momento di follia e disperazione in ospedale, Raffaele aveva denunciato tutto ai carabinieri, da quando sua madre è stata ricoverata fino al giorno della sua morte, il diverbio con i sanitari e anche l’ aggressione, denunciando la scarsa assistenza che, a suo avviso, ha avuto sua madre durante la degenza.
“Non sto avendo giustizia, anche la giustizia mi ha tradito – conclude amaro – Dopo la mia denuncia che ho fatto io da subito dove ho dichiarato anche che ho dato gli schiaffi a questa persona dove ho portato materiale audio, foto e video in abbondanza dal 19 aprile che hanno fatto l’autopsia non ho saputo nulla di mia mamma. Dopo tanto tempo tramite il mio avvocato abbiamo scoperto che questa denuncia mi è stata archiviata. È come se mia mamma non fosse morta. Mi hanno detto che la denuncia era stata archiviata ma che sicuramente avrei avuto un risarcimento danni perché i medici hanno l’assicurazione. Ma io non voglio i soldi, mia mamma non è una macchina che ha avuto una botta e l’assicurazione mi paga”.
“Non ho mai chiesto il corpo, come qualcuno ha detto – dice Raffaele – Volevo solo sapere dov’erano i medici quando mia mamma era in difficoltà e perché nessuno rispondeva al telefono mentre io chiamavo, perché nessuno si è accorto che si era staccato il tubo dell’ossigeno. Per ora non ho avuto nessuna risposta nemmeno dallo Stato c he doveva tutelare mia mamma. Io voglio sapere la verità. Non dico che l’hanno ammazzata volontariamente ma che ci potrebbe essere stata qualche negligenza. Voglio saperlo affinchè non succeda mai più a nessun altro”.
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