A pochi giorni dall’inizio della Cop26, la conferenza Onu sulla lotta ai cambiamenti climatici che si terrà dal 31 ottobre al 12 novembre a Glasgow, in Scozia, aleggia un’ombra che rischia di minacciare il successo dell’evento internazionale.

Una fuga di notizie ha messo in luce le pressioni esercitate da alcuni Paesi sull’Onu per modificare il prossimo rapporto scientifico sul cambiamento climatico redatto dall’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico nato nel 1988. A svelare l’operazione di lobby in atto è stato un team di giornalisti investigativi messo su da Greenpeace Uk che ha passato i documenti alla Bbc. I documenti trapelati consistono in oltre 32.000 osservazioni presentate da governi, aziende e altre parti interessate al team di scienziati che compila un rapporto delle Nazioni Unite che suggerisce la strategia su come affrontare l’emergenza climatica.
Secondo quanto emerge, un gruppo nutrito di Paesi, in particolar modo Arabia Saudita, Giappone, Australia, Brasile, Argentina, e altri Stati membri dell’Opec – l’organizzazione dei produttori di petrolio, starebbe esercitando pressioni per cercare di annacquare gli impegni destinati a essere messi nero su bianco a conclusione del vertice in Scozia. Ma soprattutto, l’obiettivo cruciale è quello di determinare l’introduzione di meno vincoli e restrizioni del previsto, e quindi limitazioni alla loro attuale crescita industriale. Il tutto nel nome dei rispettivi interessi.

È emerso anche che alcune nazioni ricche mettono in dubbio il fatto di dover pagare di più agli Stati meno sviluppati per passare a tecnologie sostenibili. I Paesi che hanno fatto queste pressioni sono notoriamente recalcitranti sul dossier climatico ma importanti perché legati sulla carta all’Occidente o altri Paesi alleati.

Per i Paesi contro cui si punta il dito, il mondo non ha bisogno di ridurre l’uso dei carburanti fossili così velocemente quanto raccomandato nel rapporto. Le osservazioni sono arrivate da un consigliere del ministero del petrolio saudita, un alto funzionario governativo australiano e uno scienziato indiano del Central Institute of Mining and Fuel Research.

La pressione è stata esercitata per arrivare ad eliminare o indebolire la parte conclusiva del report, per cui è necessario cessare l’estrazione di fonti fossili come carbone, petrolio e gas per contenere l’innalzamento delle temperature medie globali entro 1,5°, in base a quanto stabilito dall’accordo di Parigi del 2015.