Il governo sarà anche “bellissimo” come ha detto Draghi fiero e sorridente venerdì scorso in conferenza stampa. Eppure nonostante le rassicurazioni del fine settimana da parte di Berlusconi in persona, la filosofia di Giorgetti («La politica è l’arte di rendere possibili cose desiderabili, io cerco di soddisfare i legittimi desideri del mio segretario»), l’attendismo silente dei 5 Stelle che fino al primo marzo sono nei fatti senza un capo, la maggioranza continua a ballare.

Dopo il decreto Mille proroghe la scorsa settimana in commissione Bilancio alla Camera quando la maggioranza è andata sotto quatto volte, ieri i brividi e la rabbia sono arrivati in commissione Affari sociali alla Camera dove si votava l’ultimo decreto Covid, quello di gennaio che ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli over 50. Ieri mattina la Lega ha presentato emendamenti propri e ha appoggiato quelli di Fratelli d’Italia e Alternativa c’è (gli ex 5 Stelle fuorusciti) per chiedere, tra gli altri, l’abrogazione totale del green pass a partire dal 31 marzo, data in cui il governo farà decadere lo stato d’emergenza. Sull’emendamento c’era il parere contrario del governo. Una volta messa ai voti, la proposta di modifica non è passata ma la Lega si è schierata con le opposizioni di FdI e Alternativa. Il partito di Salvini ha chiesto inoltre la messa ai voti di una serie di emendamenti su cui il governo è contrario. In una Commissione piena di supplenti (di lunedì in genere il Parlamento lavora poco), ci sono stati anche altri momenti di terrore tra Pd e 5 Stelle.

Anche perché Forza Italia è stata a sua volta protagonista di una inattesa giravolta. Dopo il colloquio avvenuto domenica tra Draghi e Berlusconi al termine del quale il presidente di Forza Italia ha rinnovato la fiducia all’azione del governo (“le cui ragioni restano validissime”) che è “rafforzata dal buon lavoro di questi ultimi dodici mesi”, ieri pomeriggio in piena buriana green pass, lo stesso Berlusconi è uscito con un’altra nota per chiedere “misure antipandemiche meno severe” e annunciare “un piano di graduale dismissione del green pass”. Il “piano” sarà consegnato al governo “nei prossimi giorni” in modo di “poter finalmente godere di una stagione estiva senza più limitazioni”. Una nota del genere ha ancora più spiazzato i capigruppo di Pd, Iv e Leu una volta di più nel ruolo istituzionale di chi rivendica di essere “perno della maggioranza e del centrosinistra”. Intanto la Lega annunciava di votare per abrogare il certificato sanitario. Tutto questo ha fatto suonare nuovamente l’allarme in commissione. I lavori sono stati interrotti ed è stata convocata una riunione di maggioranza. Un guardarsi in faccia per stringere i bulloni. Che però non ha fatto cambiare idea alla Lega e ha congelato Forza Italia nell’astensione.

Il voto sull’emendamento incriminato è arrivato alle sette di sera. È stato respinto con 22 voti contrari (Pd, Iv, Leu, M5s), 13 a favore (Fdi, Alternativa c’è, Lega), 5 astenuti (Fi). Se anche Forza Italia avesse votato con il centrodestra, non sarebbe bastato. Il timore che qualche 5 Stelle potesse farsi prendere da qualche mal di pancia, se n’è andato con le alzate di mano (così si vota in commissione). Palazzo Chigi osservava con attenzione cosa stava succedendo a Montecitorio. È chiaro a tutti, soprattutto a Mario Draghi, che così non è possibile andare avanti. Giovedì scorso il premier era tornato prima da Bruxelles, lasciando un tavolo delicatissimo come quello ucraino, proprio per richiamare a raccolta la maggioranza. Prima di convocare e i capi delegazione nella sede del governo, Draghi ha incontrato il presidente Mattarella spiegando quello che avrebbe fatto da lì a poco: una strigliata alla maggioranza. Non erano questi i patti quando un anno fa lo stesso Mattarella chiese “una nuova maggioranza di unità nazionale fuori da ogni schema partitico per far uscire l’Italia dall’emergenza”. In nome delle stesse emergenze il Parlamento ha preteso il 3 febbraio di confermare il secondo mandato di Mattarella.

Dopo pochi giorni siamo di nuovo all’uno contro tutti per consentire a coalizioni distrutte di affrontare l’imminente campagna per le amministrative. Un atteggiamento da irresponsabili. Stigmatizzato ieri dal segretario dem davanti alla Direzione del partito. Il Pd, ha detto, offre sostegno al governo Draghi “con serietà e responsabilità. Chiediamo a tutti che facciano altrettanto”. E invece, dopo che la settimana scorsa tutti i partiti avevano detto “mai più”, “stamani la Lega, come se nulla fosse, ha votato ancora una volta emendamenti fuori da una logica di maggioranza e contro il parere del governo”. Letta ha fatto un appello alla serietà “perché è l’unico modo per andare avanti”.
Tutto questo mentre la Russia è entrata nel Donbass e la guerra in Ucraina, dopo essere stato tanto evocata e provocata, sembra essere veramente alle porte. Purtroppo, la richiesta di Fratelli d’Italia perché Draghi venga subito a riferire in aula sugli sviluppi e a che punto sono le strade della diplomazia, è stata formulata non in quanto legittima richiesta di sapere ma come un ulteriore modo per fare pressioni e mettere in difficoltà il governo. Così come non sono un segnale di collaborazione i 2.307 emendamenti all’ultimo decreto Sostegni presentati ieri al Senato. Di questi ben 454 sono di Forza Italia, 400 della Lega, 356 del Pd, 308 dei 5 Stelle. Fratelli d’Italia ne ha presentati meno di tutti (poco più di 300). I partiti chiedono più soldi. Vogliono lo scostamento e se ne fregano di fare ulteriore debito.

Così, appunto è difficile andare avanti. “E io non voglio tirare a campare” ha ricordato Draghi la scorsa settimana. Anche perché vorrebbe dire fallire. Il Pnrr fissa cento obiettivi per oltre 45 miliardi entro dicembre 2022. Senza rispettare questa tabella non arrivano i soldi. Il cammino delle prossime settimane è pieno di trappole. E di bocconi amari per le forze politiche in campagna elettorale. Ieri è stata votata la fiducia al Milleproroghe (dove il governo è andato sotto quattro volte) ma Draghi ha annunciato che ripristinerà quello che è necessario ripristinare. Prima tra tutto il tetto al contante a duemila euro (e non mille come hanno votato la scorsa settimana). Palazzo Chigi è in allerta soprattutto su altri tre temi: delega fiscale, concorrenza e codice appalti, senza dimenticare la riforma delle pensioni e quella della giustizia e in particolare del Csm, che il Parlamento esaminerà in parallelo alla campagna referendaria.

Dopo il via libera unanime del governo al pacchetto Cartabia, i lavori in commissione Giustizia della Camera hanno subito un rallentamento. Manca ancora il testo del governo e il tempo stringe: approvare la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario prima di maggio, vorrebbe dire annullare due dei cinque referendum dichiarati ammissibili dalla Consulta. Altro terreno di possibili frizioni tra esecutivo e maggioranza è nella delega fiscale: varata il 5 ottobre dal Consiglio dei ministri è ferma per l’opposizione della Lega sulla riforma del catasto. Altra delega su cui si temono tempi lunghi è quella sulla concorrenza che contiene la riforma delle concessioni balneari: anche questa approvata all’unanimità dopo sei mesi di rinvii, è destinata ad avere una vita parlamentare agra. Le oltre cento audizioni chieste in commissione al Senato faranno slittare il varo ben oltre la prevista fine di febbraio. Il terzo allarme di palazzo Chigi riguarda la riforma del codice degli appalti, varata a giugno scorso ma ancora lontana dal diventare realtà. Se si perdono giornate facendo sgambetti in commissione, anche un bambino capisce che quei cento obiettivi previsti dal Pnrr sono pure illusioni.

 

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.