Come ha osservato di recente Luca Ricolfi su la Repubblica, dalla fine della ultima guerra il sistema italiano dei partiti è stato bipolare per 15 anni su 75. Con la crescita esponenziale dei consensi al M5S dal 2013 al 2018, il sistema è diventato tripolare, ma oggi, in vista delle elezioni del prossimo anno, sembra riorientarsi verso un nuovo bipolarismo. Sull’esperienza della fase bipolare – dominata dalla competizione fra Berlusconi e Prodi – si possono avere opinioni diverse, che non coincidono necessariamente con le posizioni tradizionali di destra/sinistra.

Dati inconfutabili mostrano comunque, al di là di tali opinioni, innanzitutto che la durata degli esecutivi è stata un po’ maggiore che nella fase precedente, ma anche che il governo dell’economia in seno alla zona euro ha creato problemi significativi all’Italia. È stata in larga parte questa difficoltà del governo dell’economia che ha condotto prima con la premiership di Monti, poi con quella di Draghi ad un arretramento del ruolo monopolista dei partiti politici nella gestione della cosa pubblica. Oggi, i partiti, come è naturale, in ogni democrazia rappresentativa vorrebbero riprendere il controllo del governo del Paese e si preparano in questa prospettiva alle prossime elezioni.

La legge elettorale in vigore, grazie all’esistenza di un comparto non irrilevante di collegi uninominali, rappresenta un incentivo per i partiti politici a trovare raccordi – a creare dunque coalizioni – prima delle elezioni, invece che dopo queste ultime, come accade quando le stesse si basano su una formula proporzionale. Sulla possibilità di formare coalizioni, tuttavia, ciò che è accaduto durante la settimana di sbandamento che ha vissuto il Parlamento in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica fa sorgere qualche perplessità e qualche interrogativo. La conferma di Sergio Mattarella come Capo dello Stato è stata, come è noto, la conseguenza di una duplice impossibilità: quella di trovare i voti necessari per eleggere un candidato di una parte e di quella, risultata impraticabile, di sostituire Draghi a Capo del Governo. Si è dunque congelato lo status quo ante, per quanto riguarda i vertici dello stato. Ma lo stato dei partiti e delle potenziali coalizioni elettorali ha mostrato ancora una volta con chiarezza fragilità e incertezze.

Nei sistemi multipartitici, le coalizioni in competizione per il controllo del governo devono essere in grado non solo di vincere, ma anche di governare. Altrimenti la vittoria rassomiglia a quella del condottiero greco Pirro. Per farlo, le coalizioni – come era stato nella cosiddetta seconda repubblica – devono avere dei leader riconosciuti ed un minimo di omogeneità di visione. Oggi queste due condizioni non sembrano esistere. Nel centrodestra, il declino di FI, connesso a quello della leadership storica di Berlusconi, ha aperto un problema di non facile soluzione, che ha preso la forma della competizione interna alla coalizione fra Meloni e Salvini. Inoltre, sulla posizione nei confronti dell’UE le tesi di FI e quelle di FdI sono molto distanti, mentre su questo punto (e non solo su questo) la Lega sembra divisa al suo interno.

Dall’altra parte, nello schieramento di centrosinistra, l’accordo che sembrava possibile realizzare fra le due forze maggiori: il PD e il M5S, si è mostrato molto fragile, come si è visto durante le votazioni per il Presidente della Repubblica. Il Movimento attraversa di nuovo una fase di turbolenze, al punto che non è più chiaro chi sia l’interlocutore in seno ad esso che il PD dovrebbe privilegiare. Al tempo stesso, gli scissionisti di sinistra e di destra del PD capiscono obtorto collo che è loro interesse trovare accordi di coalizione con la forza maggiore. Ma, ad esempio, Azione di Calenda pare insistere su una esclusione dei 5S come eventuale precondizione per far parte della coalizione che dovrebbe sfidare il centrodestra. Ergo, anche su questo fronte della competizione bipolare esistono problemi, perplessità e difficoltà.

Draghi ha chiarito – a chi non lo avesse già capito – che non ci sarà alle prossime elezioni una sua forza politica. Ma un partito trasversale che vuole la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi esiste comunque nella classe politica.
La legge elettorale Rosato, pur stimolando la formazione di coalizioni più o meno stabili, non esclude a priori la possibilità che giunga in Parlamento un certo numero di eletti estranei alle coalizioni. In questo caso, se nessuna delle due aggregazioni principali di forze politiche dovesse ottenere la maggioranza, questi eletti potrebbero sostenere la coalizione che offre all’ex presidente della Bce il ruolo di Capo del Governo, assicurando ad essa la maggioranza.

Ad un anno dalle elezioni è insensato fare previsioni, ma è chiaro che in assenza di un vincitore – risultato possibile vista la debolezza del neo bipolarismo italiano e la legge elettorale in vigore – l’Italia potrebbe ancora contare su Draghi alla guida del Governo. Intanto, le elezioni amministrative parziali che avranno luogo in primavera permetteranno forse di capire come si potrà assestare l’offerta politica.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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