La partita del Quirinale e le sue ricadute politiche analizzate da un “Uomo delle istituzioni”, nel senso più pieno del termine. Luciano Violante. Ha diviso la sua lunga e importante vita pubblica tra magistratura, università e politica. Parlamentare dal 1979 al 2008. È stato presidente della Camera dei deputati dal maggio 1996 al maggio 2001, e prim’ancora presidente della commissione parlamentare Antimafia. Nel “toto presidente” era emerso anche il suo nome. Quanto ai leader di partito che rivendicano il merito della rielezione di Mattarella, l’ex presidente della Camera è tranchant: nella battaglia del Quirinale, dice a Il Riformista, «hanno vinto le istituzioni e hanno perso i partiti». E spiega il perché.

Ora che la “battaglia del Quirinale” si è conclusa. Ora che attori e comparse hanno detto la loro, facendo a gara nell’attribuirsi il merito del Mattarella bis, è tempo di una riflessione seria. Come la vede, presidente Violante?
Hanno vinto le istituzioni e hanno perso i partiti. Mentre i partiti cercavano terreni di incontro, i parlamentari decidevano di confermare il Presidente Mattarella. Mentre la rielezione di Giorgio Napolitano era avvenuta per investitura dall’alto, da parte dei segretari dei partiti , quella attuale è avvenuta per investitura dal basso. Un partito politico deve avere le idee chiare sulla propria idea di Paese, sulle priorità, sui valori e deve comunicarle alla società. Credo che per molti partiti sia venuto il momento di essere davvero tali: “parti” di una società, non monadi perse nella confusione del quotidiano.

Si è detto e scritto che la ripresidenza Mattarella è una scelta di stabilità. Ma è davvero così. Il governo, ad esempio. Mario Draghi è in una botte di ferro?
L’effetto della scelta è la stabilità. I partiti che avrebbero potuto creare problemi al governo sono usciti sconfitti da questa scelta; perciò nelle attuali condizioni vedo sussulti ma non ostacoli insuperabili. La stabilità del governo è un bene per il Paese e un vantaggio per tutti. Chi la mette a rischio, danneggia tutti e sé stesso.

Mario Draghi. Per giorni, lui che era stato esaltato come il “salvatore della patria”, ha visto manifestarsi le candidature più disparate, e disperate, alle quali si sono accompagnati i rumors di un fuoco amico che non lo voleva al Quirinale. Ed ora?
Coloro che non lo volevano al Quirinale erano mossi da sentimenti contrapposti. Alcuni non volevano smantellare Palazzo Chigi, con tutti gli inevitabili e pericolosi rischi di instabilità. Alcuni non lo volevano eleggere perché temevano un eccesso di interventismo dal Quirinale. La questione ora è chiusa ed è andata bene così.

Meloni infuriata, Salvini sbiadito king maker, Berlusconi che fa buon viso a cattivo gioco. Come ne esce il centrodestra da questa vicenda?
Non mi pare che sia uscito rafforzato. Devono decidere che cosa li unisce, al di là degli avversari comuni; forse la stessa cosa vale per il centrosinistra.

Sul fronte opposto, il segretario del Pd, Enrico Letta ammette che c’è un problema per la politica, mentre nei 5Stelle la leadership di Conte, bacchettato pubblicamente da Di Maio, si è quantomeno ammaccata. Come la vede?
Enrico Letta è il silenzioso vincitore. I Cinque stelle hanno affrontato una prova di maturità, da movimento a partito. Sono passaggi necessari, ma difficili e sempre carichi di tensione. Mi auguro che finisca bene perché rappresentano una parte della società che altrimenti resterebbe senza rappresentanza e potrebbe avere derive pericolose. Sono una componente essenziale per la democrazia.

La butto giù brutalmente: non è finalmente giunto il tempo di una seria riforma istituzionale?
Si parla di presidenzialismo e di semipresidenzialismo. Non sono bestemmie, ma sono riforme che richiederebbero una riscrittura della intera Seconda Parte della Costituzione. Manca il tempo. Propongo di concentrarsi sul funzionamento del prossimo Parlamento, che avrà un terzo di parlamentari in meno e, con le attuali regole, forti difficoltà di funzionamento. Oltre alla riforma dei Regolamenti occorre introdurre la sfiducia costruttiva e il voto a camere riunite per la fiducia, la legge di bilancio e le riforme costituzionali. È il minimo indispensabile, altrimenti il Parlamento non funzionerà. Questi interventi sono urgenti, indispensabili e non difficili. Dopo si potrà discutere del mutamento della forma di governo.

A Il Riformista, il senatore Rino Formica ha confidato di sentirsi più tranquillo ora che alla Presidenza della Repubblica e a quella della Corte costituzionale vi sono due “veri democratici” , Sergio Mattarella e Giuliano Amato. Lo è anche lei?
Certo, con un rammarico, perché Giuliano Amato lascerà la Consulta nel settembre prossimo.

In una recente intervista, nel vivo della partita del Quirinale, il giudice emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese, ha sostenuto, cito testualmente: «Il presidente che sarà eletto è per tre legislature. Avrà una gamba in questa legislatura, un’altra nella prossima e un’altra ancora nella successiva. La presidenza Mattarella ha coperto due legislature, il prossimo presidente ne coprirà tre. A maggior ragione, una scelta importante». Lei come la vede?
È sempre una scelta importante. Quattordici anni di Presidenza richiedono una forza non comune e il Presidente Mattarella ha dimostrtato di possederla.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.