È uno degli ultimi “Grandi vecchi” della politica italiana. Grande, Rino Formica lo è per statura politica e non per anzianità acquisita. Dar conto di tutti gli incarichi di primo piano, di governo – ministro delle Finanze, dei Trasporti, del Commercio con l’estero, del Lavoro e della Previdenza sociale – e di partito, il Psi, che il senatore Formica ha ricoperto, prenderebbe tutto lo spazio di questa intervista.

Senatore Formica ora che attori e comparse hanno fatto la corsa ad attribuirsi il merito del Mattarella bis, ora è tempo di riflessioni serie. Lei come la vede?
Innanzitutto va detto che per completare la riflessione è necessario un altro elemento di giudizio importante: il discorso di giovedì del Presidente. Dopo il giuramento, nel discorso alle Camere, Mattarella affronterà i problemi del suo settennato nuovo, delle ragioni per le quali si è giunti al doppio mandato. Ragioni non di semplice emergenza momentanea ma che sono preoccupazioni anche di lungo periodo. E contemporaneamente vedere quale è stata la partita. Quella sarà la riflessione politica generale. Se ci sarà e come avverrà nell’interno dei partiti, delle forze della società italiana. Che cosa è avvenuto in questi ultimi quindici-venti giorni in cui è diventata infuocata una lotta per la presidenza della Repubblica. Che partita si è giocata e chi sono stati i veri contendenti reali alla Presidenza. E come si sono formati gli schieramenti trasversali, non solo nell’area dei Grandi elettori, tra i mille, ma soprattutto come si sono formati gli schieramenti trasversali nella società italiana.

Lei che idea si è fatto in proposito?
La partita è in corsa. Tutt’altro che conclusa. È una partita che viene da lontano, che non è esplosa negli ultimi dieci-quindi giorni. È una partita che è emersa violentemente nelle ultime due settimane, ma che rodeva, scavava nell’interno della società italiana. È riemerso quello che è il dilemma delle cosiddette classi dirigenti senza radicamenti popolari, con l’illusione che il popolo è bue. È stata, ed è, una partita in corso. La partita in cui i contendenti veri erano due…

Fuori i nomi, senatore Formica.
Draghi e Berlusconi. Tutti gli altri erano candidati civetta, strumentali, che venivano fuori perché poi per stanchezza i due contendenti che non avevano una precostituita maggioranza catturavano l’altra parte del Parlamento. Tutti e due partivano da una lettura comune dello stato di salute dell’istituzione-Parlamento.

Quale era questa lettura condivisa da Draghi e Berlusconi?
Questo è un Parlamento disfatto. Un Parlamento che non è più rappresentativo. Non lo sarà probabilmente neanche quello successivo, ed è la fotografia di una crisi profonda delle istituzioni democratiche nel Paese. Però bisogna passare dalle forche caudine di questo voto. E come bisogna catturarlo? Berlusconi ha pensato di poterlo catturare con i mezzi pratici dell’acquisizione mercantile del voto. E l’altro, Draghi, pensò di poter catturare il voto con la minaccia del se non fate questo, il crollo del sistema economico e sociale del Paese è certo. Ora, i due non avrebbero mai potuto avventurarsi su questa strada se non ci fosse stato un sostegno reale da parte di due fattori. Uno, la stanchezza del Paese. E l’altro, la disinformazione. Il problema della disinformazione ha giocato un ruolo decisivo. La disinformazione ha fatto crescere contemporaneamente, enfatizzandoli, due mostri: le istituzioni sono disfatte e corrotte, e quindi acquisibili, e quindi meglio farle deperire. E l’altro, quello di dire il punto di decadenza del sistema generale è tale che non solo c’è bisogno dell’Uomo della Provvidenza, ma si è accettato un principio, devastante della vita democratica…

Vale a dire?
Che i poteri dello Stato democratico sono unificabili sotto una sola guida. Potere esecutivo, potere legislativo, potere di garanzia, potere giudiziario, potere dell’informazione. Siamo nel pieno dell’esaltazione di quello che è il concentrato di una sostituzione autoritaria del regime democratico. Questa è stata la lotta. Che non si è chiusa. Perché la situazione non era così facile. E non lo era perché le istituzioni, sì malate, tuttavia avevano dentro di sé anche una capacità di resistenza della loro autonomia. Il Parlamento sapeva di non essere propriamente in salute, ma al macello non si va con le proprie gambe, e ha resistito. Quanto all’informazione, qualcuno ha tenuto alta la bandiera dell’indipendenza, dell’autonomia. Nel mondo dell’informazione non c’è stato coro unanime. È stata unanime, probabilmente, la tendenza dell’accettazione della situazione involutiva da parte dell’editoria ma non del corpo giornalistico. In quest’ultimo è scattato un meccanismo che non è solo quello della dignità individuale ma quello della funzione. E questo perché gli editori, quando si passa da un regime democratico ad uno autoritario, poi l’accomodamento lo trovano. Il giornalista non può trovarlo. Perché da autonomo professionista diventa un dipendente robotizzato.

E nella magistratura?
Beh, anche lì si sono aperti varchi di resistenza. Una magistratura unificata sotto una sola guida, che concentra in sé il potere esecutivo, quello legislativo, il potere complessivo della macchina dello Stato, perdeva tutta la sua funzione, la sua autonomia e la sua autorità. Vi sono state resistenze. Ma perché la battaglia è ancora aperta…

Perché, senatore Formica?
Non è finita per una ragione molto semplice: perché l’operazione è stata bloccata da convenienze, e sopravvivenza delle varie aree istituzionali, ma non attraverso una battaglia politica a fronte del pericolo incorso dal sistema democratico. Io devo dire oggi che trovo provvidenziale che alla testa delle due istituzioni di garanzia, la Presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale, vi siano due autentici democratici, quali sono Sergio Mattarella e Giuliano Amato. Spetta al presidente della Repubblica, con gli atti che dovrà compiere come interprete non solo della funzione di garanzia della Costituzione, ma con gli atti che deve compiere, con i poteri che la Carta costituzionale gli dà. Che sono poteri ampi: il messaggio alle Camere, di scioglimento di esse, di presidenza del Consiglio supremo di Difesa, di presidenza del Consiglio superiore della magistratura, il potere di non firmare i decreti, cioè con tutti i poteri che concentra nella sua figura istituzionale e Costituzionale. Mi lasci dire che la battaglia più importante che è stata vinta, proprio alla luce dei pericoli suddetti, è che al Quirinale si sia reinsediato un democratico. La posizione più alta in cui o avviene la resistenza o poteva avvenire il collasso, è nelle mani di un democratico di grande scuola del cattolicesimo democratico. Che certamente ha svolto una funzione coperta, dignitosa, ma molto importante in questa situazione di resistenza. E poi c’è il presidente della Corte costituzionale. Che viene, anch’egli, da una grande tradizione democratica del socialismo italiano, che con le sentenze potrà stabilire quello che lucidamente e con tempestività, ha detto nella conferenza stampa dopo la nomina, cioè che il sistema politico democratico e istituzionale del Paese, è un tutto organico e non è modificabile a morsi o ad interventi tragici e surrettizi. Da oggi si apre una battaglia che non è semplicemente per il cambio dei responsabili. Si apre in tutte le forze, politiche, civili, rappresentative degli interessi reali del Paese, nei mondi vitali della società italiana, il dibattito sul pericolo che abbiamo corso e come va evitato. Rafforzando la democrazia e smascherando i tentativi di involuzione totalitaria.

E in tutto questo che fine farà il “patto di legislatura” invocato dal segretario del Pd e non solo? Tutti uniti attorno al governo Draghi?
Ma non scherziamo. Tra neanche sei mesi saremo in piena campagna elettorale le cui avvisaglie si sono già manifestate prima, durante e dopo l’elezione del Capo dello Stato. Non so se ridere o piangere quando sento parlare di “patto di legislatura”.

 

Avatar photo

Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.