Intanto sono stati “occupati” i domini. Il nome ha una sua efficacia – “Italia al centro” – “buca” come dicono quelli che si occupano di marketing politico. È successo la scorsa settimana, in mezzo alle macerie delle coalizioni del post voto presidenziale. Da quello che si capisce l’idea è maturata più tra i fondatori di Coraggio Italia che tra la dirigenza e tra gli iscritti di Italia viva. I sondaggisti si sono già messi al lavoro e dai primi rilievi risulta che “un nuovo soggetto politico di centro ha un’attrattività tra l’8 e il 15%, raccoglierebbe in un’ampia area del paese e sarebbe attrattivo soprattutto tra quel 30-40 per cento di elettori che si sente privo di un’offerta politica che lo soddisfi”.

L’elezione del Presidente della Repubblica ha messo a nudo liti e spaccature per troppo tempo liquidate come “invenzioni giornalistiche”. Caos e macerie sono originate dalla crisi delle coalizioni che negli ultimi anni, sotto la spinta dei populismi e dei sovranismi, hanno estremizzato il loro posizionamento politico e anche le loro leadership. Creando malcontento tra i diretti interessati e tra gli elettori. L’elettorato di Forza Italia – forza liberal, europeista e moderata – da tempo non si trova più rappresentato da Salvini e meno ancora da Meloni. Lo stesso si può dire nel centrosinistra: nello stesso Pd ci sono istanze che guardano più a sinistra che al centro e l’arrivo dei 5 Stelle e di Conte in pianta stabile (schema che sembra superato con lo scontro Conte-Di Maio e la precarietà della leadership di Conte) ha raffreddato gli elettori più progressisti. Più lontani anche da ricette come lo statalismo, assistenzialismo e l’ambientalismo del no a prescindere. In questo blob che è la politica italiana Meloni e Salvini considerano morta la coalizione ma forse anche no.

Ecco che nelle settimane che hanno preceduto il bis di Mattarella e nei giorni convulsi che hanno portato alla sua inevitabile conferma, è stato depositato il dominio di “Italia al centro”. E che da giorni tutti parlano di Centro. In realtà in questo momento esistono tre movimenti distinti: il centro del centrodestra; il centro-centro; il centro del centrosinistra. Silvio Berlusconi è uscito dal tunnel depressivo della conta Quirinale avendo in testa una cosa sola: vince chi per primo riprende in mano il centro del centrodestra. Il Cavaliere ha capito che per tenere testa a Salvini e Meloni in conflitto permanente da due anni per la leadership della coalizione deve rafforzare Forza Italia e coltivare la sua attitudine: il centro. «Il centro sono io e Forza Italia deve essere la calamita della coalizione» ripete il Cav in ogni riunione. Da allora i sondaggi danno in crescita Forza Italia (stabilmente sopra l’8). Per fare questo Berlusconi ha bisogno che Salvini la smetta di inseguire Meloni su derive estremiste ed entri finalmente nel Partito popolare europeo.

Forza Italia e Lega insieme, un vero partito liberal, europeista, moderato nella metà campo del centrodestra.
Che sia una federazione o un partito repubblicano in versione italiana, non è chiaro. Salvini però ha capito che deve muoversi: «La coalizione ora non c’è più ma abbiano un anno di tempo per riprovarci…», cioè le politiche del 2023. Un anno in politica può essere un soffio. «Il centrodestra che fa accordi con centristi e moderati non è più una coalizione» ripete in ogni diretta Facebook (il segretario della Lega è confinato a casa causa Covid). Nel mirino di Salvini c’è il tentativo di Forza Italia di ritrovare un proprio spazio. E le frange più moderare di Toti-Brugnaro-Quagliariello e Romani che dal contenitore di Coraggio Italia trattano l’alleanza con Matteo Renzi: «Se qualcuno sta cercando l’obiettivo con Renzi e Mastella – dice il segretario della Lega – allora abbiamo obiettivi diversi». Il pensiero di fondo, che poi mette Salvini sulle barricate e Berlusconi in piena attività politica, è che molti di Forza Italia possano trovare attrattivo il centro-centro a cui sta lavorando Toti.

Sono settimane che Toti e Renzi parlano. «Inutile far finta che oggi la politica sia la stessa di cinque anni fa» ha detto ieri il presidente della Regione Liguria. «È tutto ancora da decidere – ha aggiunto – io dialogo con tutti nella prospettiva e con l’obiettivo di rafforzare una parte di politica centrale nel nostro schieramento, dialogante, pragmatica, capace di fare proprio un programma quale quello del governo Draghi di modernizzazione del Paese. Per fare questo parliamo con tanti amici del centrodestra, con forze politiche che stanno al centro dello schieramento e dovranno decidere una collocazione». Poi Toti ha il “problema” Brugnaro che tutto sommato alla fine sta bene dove sta (con Berlusconi) e definisce «premature le fughe in avanti di Toti». Matteo Renzi deve a sua volta confrontarsi con dirigenti di Italia viva come Teresa Bellanova e Gennaro Migliore che non vogliono confondere neppure per sbaglio l’idea di riformismo con quella delle destre.

Il leader di Iv ieri ha parlato dopo giorni in cui Italia viva è stata citata da molti come soggetto proponente del nuovo soggetto politico di Centro. «Il nostro futuro non si costruisce in provetta o con operazioni dall’alto. L’area riformista – che qualcuno chiama centro, altri polo liberal democratico, che qualcuno non chiama proprio perché pensa di poter fare a meno di noi – è un’area che nel Paese c’è già. Sono quelli che, ad esempio, stanno dalla parte del JobsAct e di Industria 4.0 e non dalla parte del reddito di cittadinanza. Sono quelli che tifano per un’Europa dal volto umano e non per il sovranismo dei muri – continua Renzi – Sono i garantisti, non i giustizialisti». Sarà l’Assemblea nazionale del 26 febbraio a chiarire i passi da fare. Fino ad allora nulla è deciso. Certo è che «così come l’area riformista è stata decisiva in questa legislatura a sgonfiare i populisti, sarà decisiva – con qualunque legge elettorale – nella prossima legislatura».

Il senatore Gaetano Quagliariello (Coraggio Italia-Cambiamo) immagina una “federazione di centro” sul modello della UDF francese che univa giscardiani, radicali, repubblicani e democristiani che trovò l’unità su alcuni principi economici, politici e sociali “non negoziabili”. Velleitario trovare l’unità sui temi etici dove «deve valere la libertà di coscienza». Una unità “laica di forze”, qualcosa che esiste già e che non può essere una costruzione politologica. Qualcuno ha già pronta una sorta di road map: “Italia Al Centro” sarà – spiegano fonti centriste riferibili a Coraggio Italia – «una Margherita con tanti petali e una leadership diffusa, un’alleanza in cui ciascun partito resta autonomo, trovando un simbolo inclusivo che rappresenti tutti». All’inizio ci dovrebbe essere «il raccordo dei gruppi parlamentari» ma non sarà – assicurano alcuni protagonisti – «un’operazione di palazzo».

Serve tempo. L’appuntamento per il debutto vero e proprio è rinviato alle politiche del 2023. Una decina di mesi, con le amministrative nel mezzo (972 comuni al voto di cui 142 con più di 15 mila abitanti, 25 capoluoghi di provincia e 4 capoluoghi di regione come Genova, Palermo, Aquila, Catanzaro) che inevitabilmente saranno il test definitivo per le vecchie coalizioni e per le liste civiche embrione di “Italia al centro”. Un punto importante – assicurano le stesse fonti – «è non mettere né in discussione né in gioco la tenuta del governo Draghi. Non può essere indifferente a tutto questo il fatto che il presidente Toti è stato oltre un’ora a palazzo Chigi (non ha visto Draghi) mercoledì della scorsa settimana. La domanda è lecita: la nuova forza di centro sarà il cartello che proporrà Draghi premier nel 2023? Anche il centrosinistra cerca di potenziare il suo centro. Era stato appaltato a Conte e ai 5 Stelle. Lo schema è saltato e tutto da rivedere. Nel frattempo però Letta ha fatto un mezzo accordo con i centristi di Calenda e Bonino. Il fatto è che i due poli non vorrebbero che nascesse un nuovo Terzo Polo. Ma il cantiere è stato avviato.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.