Cosa ha lasciato sul terreno della politica la “battaglia del Quirinale”, le sfide di questo fine legislatura e le alleanze in divenire o da consolidare. Il Riformista ne discute con Stefano Ceccanti, costituzionalista, parlamentare dem, vicepresidente vicario dell’associazione di cultura politica “Libertà Eguale”.

In una intervista a questo giornale, Sabino Cassese, riflettendo sul Mattarella bis ha rimarcato che «con tale rielezione si è ricostituita l’unità precedente tra l’artefice e l’attore. L’artefice è il presidente della Repubblica che ha individuato la soluzione “di alto profilo non corrispondente ad alcuna formula politica”, come fu presentata la nomina del presidente Draghi. L’attore è proprio quest’ultimo, il quale ha guidato con saggezza il governo per un anno…». Condivide? Il futuro del paese è affidato all’asse Mattarella-Draghi?
Sono d’accordo con Cassese. Un anno fa abbiamo scommesso quasi tutti su un Governo di unità nazionale guidato da Draghi e promosso dal Presidente Mattarella. Perché avremmo dovuto improvvisamente cambiare direzione? Non saremmo stati schizofrenici? Quale sarebbe stata quindi per il Quirinale la scelta più coerente e consequenziale? Quella che avrebbe consentito di proseguire con questa esperienza, quindi la conferma del Presidente Mattarella, la ricostruzione dell’unità tra artefice e attore. Detto questo, quali sono gli obiettivi che il biennio di Governo deve perseguire, quale futuro affidiamo al tandem Mattarella-Draghi? La sua domanda apre a più risposte possibili e per certi versi alternative. Chiariamo quindi la mission. Ci sono alcuni adempimenti comprensibili, chiaramente esplicitati, principalmente il Pnrr e che ci vincolano per anni. Tuttavia ce n’è anche uno di sistema, meno evidente ma non per questo meno importante.

Quale, professore Ceccanti?
La ripartenza del sistema dei partiti su basi nuove. Qui si celano due visioni alternative del futuro affidato all’asse Mattarella-Draghi. Lo scenario ottimo, il successo pieno del Governo Draghi sarebbe per me la capacità di presentarsi nel 2023, da parte di tutti, con programmi e schieramenti in alternativa, nessuno dei quali metta in questione i fondamentali del sistema, anche grazie a una nuova legge elettorale che consentisse più limpidamente di scegliere una maggioranza. Questa sarebbe la vera soluzione di sistema, che perfezionerebbe l’evoluzione che alcune forze politiche hanno attraversato nel corso della legislatura, in particolare quelle che hanno dato vita al Governo Conte 1, che avevano proposto il ministro euroscettico Savona scontrandosi col Presidente Mattarella e che hanno finito per dare la fiducia a Draghi e per rieleggere Mattarella. Quella che invece alcuni commentatori descrivono come una soluzione ottimale, ossia elezioni senza risultati chiari, una nuova supplenza presidenziale e un ritorno di Draghi al Governo per incapacità di tutti di produrre soluzioni fisiologiche, non sarebbe un successo ma una sconfitta. Perpetuare un’emergenza può anche essere necessario, se non è possibile fare altrimenti, ma non può essere presentata come l’ipotesi principale su cui lavorare. Anche l’idea di una legge proporzionale per raggiungere questo obiettivo mi sembra un’anomalia: anche nei Paesi in cui si vota con la proporzionale nessuno pensa di eludere il voto e i Governi si fanno intorno al candidato espresso prima del voto dal partito più votato. Altrimenti si entra in una deriva oligarchica che alimenta i populismi. In entrambi i casi il sistema tenderebbe al centro, manterrebbe certi i pilastri dell’aggancio con le democrazie consolidate dell’area euroatlantica, ma col primo ci sarebbe una competizione virtuosa per la conquista dinamica del centro del sistema, nel secondo invece ci sarebbe un’ingessatura statica attraverso il centro. Siamo sicuri che nel secondo caso si potrebbero davvero fare riforme o non si finirebbe in una palude? Un conto è chiudere una legislatura con un Governo di emergenza e un altro è aprirla dopo un voto dei cittadini considerandolo inutile.

Tutti i leader politici, chi più chi meno, hanno fatto a gara a intestarsi il merito del Mattarella bis. Lei che ha vissuto in prima linea che idea si è fatto?
Posto che l’iniziativa è partita realmente dal basso, è stata preparata per qualche settimana da volenterosi in modo trasversale, le responsabilità dei leader non sono equiparabili. Il segretario del Pd Letta si è mosso in coerenza con la mission del Governo ed ha puntato quindi su un metodo di unità della maggioranza. Per il M5S bisogna distinguere tra i parlamentari e la leadership: i parlamentari hanno lavorato in modo coeso per la conferma del Presidente Mattarella, mentre non mi è sembrato del tutto lineare il comportamento del leader politico Conte, ma può darsi che su questo io non abbia avuto dal mio angolo visuale informazioni complete, anche perché in quei giorni io come altri eravamo fissi in Transatlantico a cercare i voti. Di sicuro è stato sbagliato l’andirivieni del centrodestra e in particolare di Salvini. È evidente che il centrodestra aveva un problema: come conciliare il fatto che Fi e Lega fossero al Governo e Fdi all’opposizione. Coerentemente con la mission di legittimazione reciproca del Governo, Fi e Lega avrebbero dovuto scegliere fin dall’inizio la riconferma del Presidente Mattarella mettendo un aut aut a Fdi. Invece hanno cercato di mettere insieme due strategie opposte: l’unità della maggioranza e l’unità centrodestra, privilegiando la seconda finché non sono stati costretti a seguire la prima.

In un editoriale a commento della rielezione di Mattarella, il direttore del Corriere della Sera, Fontana, ha usato una affermazione molto forte: le “macerie dei partiti”. Siamo arrivati a questo punto?
Posto che alcuni commentatori potrebbero forse fare autocritica per aver descritto un collegio di elettori del Presidente in modo del tutto diverso da come poi questo si è dimostrato, ossia capace di saggezza, e come tale capace anche di sovvertire le loro certezze, non ha senso parificare il giudizio. Ci sono le macerie o, forse, meglio, le serie difficoltà di coloro che non hanno seguito un comportamento lineare e che proprio per questo avranno più difficoltà a presentarsi in continuità con un Governo che a tratti vogliono e a tratti no. Potenzialmente, pur con le sue difficoltà, l’area progressista parte in vantaggio nel compito di presentarsi con una continuità dinamica con Draghi.

Il Pd punta ancora, anche in prospettiva delle elezioni legislative del 2023, sull’asse con i 5Stelle. Ma può reggere un patto con chi, leggi Conte, è sotto il fuoco amico dei pentastellati?
Il cuore del M5S sono i parlamentari, dal momento che praticamente non vi è struttura extraparlamentare sul territorio e col nucleo duro dei parlamentari non si registrano problemi. Di fatto, sul piano squisitamente parlamentare, in termini di concreti comportamenti, noi votiamo quasi sempre insieme con M5s, LeU, Italia Viva e Più Europa. Si capirebbero male esclusioni sulla base di questi dati obiettivi. Né capisco perché, di fronte a tanti cambiamenti che sono intervenuti, si dovrebbe rimproverare ad alcuni le scelte del passato anziché essere contenti delle scelte del presente. Non vedo perché rimproverare al M5s che ha dato quantitativamente un contributo essenziale alla rielezione di Mattarella lo scontro all’epoca del Conte 1 oppure perché rimproverare a Renzi la scissione sbagliata quando ha operato per la rielezione di Mattarella, la conferma o la nuova elezione di sindaci come Gualtieri e per la continuità del Governo. Le differenze, pur reali, mi sembrano compatibili.

Manca un anno alla fine della legislatura. Un anno da vivere politicamente nel segno del tirare a campare?
La messa a terra del Pnrr, la rinegoziazione delle regole europee sul debito e la presenza decisiva di Draghi nei Consigli europei mi sembrano tutto tranne tirare a campare. Se poi ci spostiamo sul terreno istituzionale, pur senza immaginare palingenesi, siamo senz’altro in tempo almeno per una riforma incisiva dei Regolamenti parlamentari, resa necessaria anche dalla riduzione dei parlamentari, che con un ragionevole meccanismo di data certa per i disegni di legge del Governo riduca l’alluvione dei decreti. Se poi fossimo tutti ragionevoli andrebbe avanti da subito anche l’idea di potenziare il Parlamento in seduta comune a 600 per il rapporto fiduciario, le leggi di bilancio, i decreti, insomma per superare in radice il monocameralismo di fatto in cui siamo piombati e da cui è difficile uscire altrimenti.

Uno dei temi caldi è la riforma della Giustizia. Il giudizio di questo giornale è sintetizzabile in un suo titolo di prima pagina: “Riforma Giustizia? Le correnti saranno più forti”. Un’occasione persa?
Non capisco questa critica. Il cuore della riforma sta nel cambiamento della legge elettorale del Csm. Posto che non capisco come qualcuno possa essere affascinato dalla proposta chiaramente incostituzionale del sorteggio (eletti vuol dire eletti), peraltro ispirata dalla logica sbagliata dell’uno vale uno, è uscito un testo di sistema a prevalenza maggioritaria che, come tale, è in grado di tagliare unghie alle correnti. Meglio sarebbe stato il disegno originario tutto maggioritario del ministro perché la proporzionale è una fotografia delle correnti, però visti i punti di partenza è comunque un equilibrio accettabile.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.