La rielezione a Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella è l’esatto contrario del perpetuare lo statu quo. È una sfida di cambiamento che i partiti o affrontano con rigore e coraggio oppure sono destinati ad una progressiva marginalizzazione. Al Riformista ne parla Roberto Morassut, deputato dem, un passato da amministratore del Comune di Roma, assessore all’Urbanistica e a Roma capitale nella giunta Veltroni, sottosegretario al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nel governo Conte II dal settembre 2019 al febbraio 2021.

Qual è il segno politico del Mattarella bis?
La rielezione di Mattarella ha risolto un passaggio molto critico della vita della Repubblica. In qualche modo lo stesso discorso del Presidente, accolto dal Parlamento con unanimi e ripetuti applausi, ha messo in luce molti punti critici e spinto i partiti e il Parlamento ad affrontarli con urgenza. Tra i tanti temi toccati, mi ha colpito, in particolare, il vigore con il quale il Presidente della Repubblica ha posto l’accento sul nesso strettissimo e sulla coesistenza che deve esistere in una democrazia moderna tra partecipazione e decisione. Tra la necessità di consentire al Parlamento tempi adeguati per l’esame dei provvedimenti e la contestuale importanza di assumere decisioni chiare e tempestive. Un tema cruciale che non riguarda solo il funzionamento delle istituzioni ma l’intero sistema della rappresentanza, a partire dai partiti che sono oramai, in gran parte, delle aggregazioni, prive di forma, che si reggono su leader temporanei, su momenti effimeri. Senza denigrare nessuno ma la sofferta settimana che poi ha condotto per fortuna alla rielezione di Mattarella ha messo a nudo queste debolezze, questo sfarinamento che sbaglieremmo a considerare come proprio soltanto di questa stagione politica. È, ormai, un dato di lungo periodo.

Una crisi di sistema non risolta
Una Repubblica parlamentare che si appoggia su partiti fragili rischia di avere davanti a sé un tempo breve e di legittimare, presto o tardi, il tema di un cambiamento in senso semi presidenziale se i partiti non saranno in grado di garantire il ruolo del Parlamento attraverso il loro impulso, il loro primato sul piano ideale e programmatico. Teoricamente in un sistema semi presidenziale, il Parlamento svolge i suoi compiti di controllo e di indirizzo in modo chiaro ed il governo, indicato da un Presidente eletto direttamente ha altrettanto un suo campo chiaro e definito. Meglio di una situazione nella quale il Parlamento è, sulla carta centrale e depositario del potere legislativo, ma ridotto ad un’assemblea di ratifica della iniziativa di governi sempre più lontani dalla espressione diretta dei partiti e sempre più segnati dalla prevalenza di tecnocrazie a -politiche o a-partitiche. Certamente, nel caso di Draghi, parliamo di una grande risorsa democratica che si è messa al servizio delle istituzioni in un momento di emergenza, secondo una tradizione che peraltro ha dei nobili precedenti in Einaudi, Ciampi e lo stesso Monti, ma tutto questo non può nascondere la grave insufficienza dei partiti e conseguentemente del Parlamento nell’essere all’altezza di grandi sfide. Alla lunga la risorsa tecnocratica che sostituisce la politica rischia di essere un problema.

E un problema serio è quello della legge elettorale…
La legge elettorale sarà uno dei temi al centro del confronto di questo ultimo anno di legislatura. Vedremo se le prove tecniche svolte fino ad ora approderanno ad un risultato. Per mia inclinazione propendo sempre per un sistema maggioritario a carattere uninominale. È il sistema elettorale che, al di là delle condizioni specifiche, garantisce meglio di altri stabilità, trasparenza e possibilità di scegliere gli eletti e tenerli collegati al territorio di riferimento. Ma allo stato delle cose appare impraticabile in questo momento nel quale anche le effimere aggregazioni di coalizione sono attraversate da contraddizioni e divisioni. L’impraticabilità di un chiaro sistema maggioritario-uninominale è un’altra conferma della crisi del sistema della rappresentanza e della sua allarmante frammentazione. Per questo una legge proporzionale con uno sbarramento, possibilmente prossimo al 5%, può dare maggiore spazio alla creazione di quel “campo largo” che metta insieme i contorni di quella coalizione europeista “Ursula” fatta di forze progressiste, di forze civiche ma europeiste, cattoliche e di forze moderate e liberaldemocratiche che oggi con gli attuali vincoli elettorali fa fatica a prendere forma in Italia ma che può svilupparsi. Una prospettiva che Goffredo Bettini indicò già alcuni anni fa per primo, parlando di una “terza gamba” della coalizione, non sostitutiva del Movimento Cinque Stelle o delle varie componenti della sinistra ma espansiva e in grado di assicurare un successo sulla destra.

Come vede lo stato di salute dell’alleanza PD-LeU-5Stelle, anche alla luce dello scontro interno ai pentastellati che ha messo pesantemente in discussione la leadership di Conte?
Rispetto all’inizio della presente legislatura molta strada è stata fatta. Abbiamo progressivamente visto mutare il volto di forze politiche che avevano giocato le ragioni del proprio successo sul sovranismo, sul populismo, sulla polemica anti-europea e che oggi agiscono e governano in un quadro completamente diverso, vivono divisioni interne – che io considero per certi aspetti salutari – tra elementi “riformisti” ed elementi ancora populisti. Le esperienze dei Governi Conte 2 e Draghi hanno svolto un ruolo fondamentale per rompere questi blocchi sia tra i Cinque Stelle che nella Lega e dobbiamo ora porci il tema di come dare a queste articolazioni sparse sull’arena una qualche forma politica e programmatica di almeno medio periodo e una legge proporzionale che conservi un margine di semplificazione maggioritaria può aiutare. Quanto alla scelta degli eletti si deciderà, nel caso, alla fine del confronto ma tanto vale avere un ritorno alle preferenze, con forti antidoti contro l’uso di forme clientelari e di eccesso di costi, che restare nel chiuso di liste bloccate che limitano la scelta dei cittadini.

 

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.