Tutto ciò che sta cambiando nei nostri stilemi comunicativi non è dovuto – come in passato – solo a un avvicendamento generazionale. L’irrompere della tecnologia e ciò che inizia a emergere con le applicazioni dell’Intelligenza Artificiale recano il senso di una sorta di rivoluzione sintattica, semantica e simbolica nell’uso delle parole fino alla loro sostituzione con nuove espressioni lessicali.

Mettiamoci un attimo nei panni di quel docente che – ritirando i temi assegnati ai suoi alunni – si è accorto che la quasi totalità degli svolgimenti era stata fatta utilizzando ChatGPT: un’applicazione basata su IA e apprendimento automatico, sviluppata da OpenAI e specializzata nella conversazione con un utente umano che ha mostrato notevoli capacità nel generare un testo simile a quello usato dalle persone. Credo che avremmo conferma della pervasività dei sistemi informatici e del fatto che gradualmente hardware e software si avvieranno a sostituire la logica del ragionamento pensato, come scrive il prof Andreoli, usando il cervello che teniamo in tasca piuttosto che quello che abbiamo in testa.

Un recente Rapporto Ocse sulle competenze cognitive degli adulti ha evidenziato una carenza di comprensione di un testo (literacy), nella logica matematica semplice (numeracy) e nel problem solving, che piazzano l’Italia al quartultimo posto tra i paesi industrializzati. Per comprendere il portato di questa carenza, non è necessario considerare le più sofisticate applicazioni delle tecnologie o immaginare scenari distopici (dove l’uomo lentamente sarà prima affiancato e poi superato dai prodotti delle applicazioni che lui stesso sta generando). Basta osservare i comportamenti degli adulti ma anche degli adolescenti, persino dei bambini, per capacitarsi di quanto pervasiva – e per certi aspetti rivoluzionaria – sia l’irruzione degli strumenti dell’innovazione scientifica nella quotidianità. Maneggiando un qualunque smartphone o tablet, si può accedere a un universo sconosciuto; moltissime e sempre più avanzate sono le applicazioni che ci permettono di navigare in un mondo simbolico sconfinato.

È certamente arduo il compito delle famiglie e della scuola nell’educare bambini e ragazzi a un uso contenuto di questi strumenti avanzatissimi, oltre che insegnare a distinguere il divertimento o l’utilizzo a fini didattici dai pericoli di una navigazione senza controllo nel web. Possiamo anzi dire che, al momento, sarebbe una battaglia perduta in partenza. Quanto influiscano sugli stili di vita, gli interessi, le curiosità e la frequenza d’uso i canali social è di tutta evidenza; ciò non è tuttavia un criterio di scelta etica che indirizza e direziona queste frequentazioni. Con uno smartphone si possono scaricare informazioni utili, si può comunicare con facilità e in modo veloce, si può studiare o lavorare in videoconferenza, si può acquisire materiale apprenditivo ma – in un caravanserraglio di canali di accesso e fruizione – accade che si incrocino immagini e video di ogni tipo o che si usino gli stessi cellulari per diffondere materiale illecito. Ma anche l’uso più garbato e ortodosso delle tecnologie cambia – non poco – le regole di comprensione e comunicazione: ne deriva che il linguaggio ricorrente diventa specifico e svincolato dall’ortodossia semantica e persino grammaticale.

Tutto ciò si riflette anche su un evento nazionalpopolare come il Festival di Sanremo. Lorenzo Coveri, accademico della Crusca, ha espresso un parere negativo a una prima lettura dei testi dei brani in gara: “Una lingua contemporanea, informale, che risente molto del parlato e lascia alle spalle la tradizione letteraria. Canzoni piatte, voti piatti. Mi adeguo. Forse sarà anche colpa del fatto anche quest’anno ci sono sempre gli stessi 11 autori per due terzi dei brani: tutta questa omogeneità porta a un appiattimento generale”. Tra tutti spiccano Brunori Sas e Lucio Corsi, a cui Coveri ha dato 9. Negativo invece il parere sui Modà: “Il testo peggiore. Versi pesantissimi, lunghissimi, più che una canzone sembra la predica di un prete”. Grave insufficienza anche per Marcella Bella, a cui ha assegnato 4: “Dici che come me non ne trovi nessuna, si vabbè poi però lo ripeti ad ognuna… Se questo è un testo originale. Siamo fuori strada. Un femminismo di moda, di facciata”.

Fermare le derive del progresso tecnologico e dell’innovazione sarebbe come tentare di respingere con le mani la forza di uno tsunami. La lingua si evolve: la stessa Accademia della Crusca e i dizionari – cartacei o informatici che siano – inglobano e legittimano i neologismi, prendendo atto dell’evoluzione delle parole. Per evitare di salutarci in futuro con un “bit”, in modo arido e privo di empatia, occorre tuttavia tenere saldamente la persona al centro delle relazioni umane, usando codici cognitivi e comunicativi comprensibili e condivisi.