Avete presente la storia dell’intercettazione dei due dirigenti Consip che decidono di incaricare un’agenzia specializzata di realizzare una “strategia” per Il Fatto Quotidiano? Stiamo scrivendo su questo da una settimana, perché vorremmo una risposta da Travaglio. Vorremmo sapere se lui sa in cosa doveva consistere questa strategia, e se poi fu attuata, e se Il Fatto Quotidiano attenuò o no i suoi attacchi ai due dirigenti (Luigi Marroni e Francesco Licci) che avevano deciso di organizzare questa strategia. Niente, Travaglio non risponde. Forse ci sta pensando, forse non è convinto del tutto che la trasparenza sia la bibbia del suo giornalismo, forse non gli piace questo nostro comportamento un po’ troppo insistente e un po’, persino, travaglista. Travaglio, probabilmente, non ama i Travagli. E su questo non possiamo dargli torto.

Ieri però ci ha scritto Gianluca Comin, professionista molto conosciuto, e che – nell’intercettazione – era indicato come l’uomo che avrebbe dovuto mettere a punto questa strategia. Ci dice che di questo affare non sa niente. Che effettivamente fu contattato da un dirigente Consip (probabilmente Francesco Licci, dice Comin) e che effettivamente ebbe un incontro con Luigi Marroni (evidentemente successivo alla intercettazione, perché nell’intercettazione Marroni si limita ad indicare la necessità di questa strategia e sembra non conoscere Comin). Dice però Comin che poi non se ne fece niente, e quindi lui non parlò mai né con Travaglio né con nessun altro giornalista del Fatto.

Se dovessimo applicare il famoso codice Travaglio (del quale abbiamo parlato ieri, in questa che sta diventando una telenovela) dovremmo ignorare la precisazione di Comin. Il codice Travaglio stabilisce che una intercettazione è legge, e se due persone dicono una cosa quando sono intercettate dicono il vero e chi ci finisce in mezzo è fregato. Siccome nella intercettazione Licci dice a Marroni che Comin è stato incaricato e ha ricevuto tutto l’incartamento (mentre Comin nella lettera che ci ha scritto nega di aver ricevuto incartamento alcuno) il codice Travaglio prevede la cassazione della precisazione di Comin. Ma noi continuiamo ad ostinarci a non voler applicare il codice Travaglio, e quindi a prendere per buona la dichiarazione di Comin, che oltretutto conosciamo e sappiamo essere una persona assolutamente perbene.

Però a questo punto dobbiamo immaginare che Licci avesse detto una piccola bugia. Aveva sì contattato Comin ma non gli aveva ancora dato l’incartamento. Il problema di fondo resta, anzi diventa più complicato: se Licci e Marroni avevano deciso di realizzare questa strategia con il Fatto, e se Comin disse loro che lui non se ne poteva occupare, chi si occupò poi di realizzare questa strategia? E in che consisteva questa strategia? E in che modo permise a Licci e Marroni di evitare la gran parte degli strali con i quali Il Fatto dardeggiò (e ancora dardeggia) tutti i protagonisti o i presunti protagonisti del caso Consip? E c’è un qualche collegamento – seppure indiretto – tra tutto ciò e il fatto che Marroni riuscì a tenersi fuori sia dalla campagna giornalistica sia dall’inchiesta giudiziaria?

È su questo che ci aspetteremo una serena spiegazione di Travaglio. Anche perché sappiamo molto bene (e lo sanno tutti i lettori sia del Riformista che del Fatto), che Travaglio non sottovaluta mai le intercettazioni. Non le considera, per principio, equivoche o poco significative. E infatti siamo abbastanza stupiti che avendo Il Fatto pubblicato paginate e paginate di intercettazioni, e avendo alcuni suoi giornalisti scritto persino dei libri, nessuno poi si sia preoccupato di pubblicare, e spiegare, proprio quella intercettazione che riguardava loro. Possibile che gli fosse sfuggita? Non mi sembra ragionevole. Così come non mi spiego il motivo per il quale non hanno pubblicato neppure un bel pacchetto di intercettazioni che scagionano uno degli attori principali di questa vicenda, che è l’imprenditore Alfredo Romeo, il quale mi sta abbastanza a cuore anche perché è l’editore di questo giornale, e forse proprio per questo motivo non sta tanto a cuore a Travaglio.
Comunque, dopo la lettera di Comin, siamo più tranquilli. Siamo certi che alla fine Travaglio si deciderà a parlare. Oltretutto ha avuto tutto il tempo necessario per preparare bene una versione sua dei fatti. E poi lui è bravo a fornire versioni dei fatti. Siamo curiosissimi di quel che ci dirà.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.