Israele ha il diritto di garantire la propria sicurezza”, ha detto Macron dopo gli attacchi all’Iran, pur auspicando che si eviti l’escalation. Un giudizio politico (e storico) ineccepibile. È dal 1979 che la repubblica khomeinista proclama la propria volontà di cancellare lo Stato ebraico, ma oggi il suo programma nucleare rende la minaccia drammaticamente concreta. E Gerusalemme, perciò, ha il diritto di difendersi. La pensa così anche la Germania di Merz.

Tutt’altro il clima al di qua delle Alpi. Da una parte, il governo si muove con una prudenza poco meno che reticente. Chiede a Israele una ripresa della diplomazia. Non commenta la legittimità dell’attacco. “La nostra posizione è quella del dialogo”, dichiara pilatesco Tajani. In compenso, sono le opposizioni a dar fiato alle trombe, gettandosi lancia in resta contro il nemico. Che però non è la teocrazia delle impiccagioni quotidiane, il regime delle ragazze torturate per un velo, gli oscurantisti dell’omofobia. No, il nemico è Israele. Bisogna fermare il criminale Netanyahu, dice Conte. È necessario rompere ogni cooperazione con Tel Aviv, chiede Bonelli. Gli attacchi israeliani rischiano di gettarci in un conflitto globale, avverte Schlein. E il leggendario centro? “Netanyahu usa la guerra per prolungare la sua permanenza al governo”, dichiara (un po’ leggero) Calenda, mostrando di preferire il dito alla luna. Quanto a Renzi, impegnato com’è a diventare il primo della classe dell’opposizione, prova il colpo basso. “Ai tavoli internazionali la coppia Meloni-Tajani non se la fila nessuno”, dice con piglio romanesco (forse fuori luogo).

Certo, il governo appare più cauto di quanto si vorrebbe in un momento di scelte dense di futuro. Non riconosce con la chiarezza di Macron il diritto di Tel Aviv all’autodifesa, riproponendo un’istanza alla mediazione il cui spazio è tutto da dimostrare. Ma l’opposizione? Che dire di un’opposizione che pure si vanta di essere l’alfiere delle libertà, dell’emancipazione femminista, delle storiche battaglie per i diversi? Ad ascoltare certi suoi giudizi, sembra che il tempo si sia fermato. Sembra che la sinistra non abbia elaborato la storia drammatica della democrazia israeliana, che sia rimasta alla Guerra dei sei giorni, quando la rottura tra il comunismo sovietico e lo Stato ebraico divenne definitiva. Sembra che non riconosca, a oltre quarant’anni dalla rivoluzione khomeinista, il concreto pericolo che Teheran rappresenta per la sopravvivenza di Tel Aviv. Ma tant’è. Sono sirene del passato che non passa, frattaglie ideologiche, demagogia pacifista.

“Meloni ricordi che l’Italia ripudia la guerra”, ha detto ineffabile la segretaria democrat. La quale tuttavia su un punto ha di che essere contenta. Dimezzato nelle piazze, sconfitto nei referendum, il campo largo trionfa inusitatamente contro Israele. Contro Israele sono tutti, ma proprio tutti, d’accordo. Un sogno, per Elly Schlein. Ah, se solo si votasse oggi, con i siti nucleari iraniani ancora fumanti!