L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Si apre così la nostra Costituzione, ma questo principio sembra non essere valido in tutto il Paese. A Napoli solo il 38% delle persone ha un’occupazione e il Comune fa pochissimo per migliorare la situazione, spendendo solo pochi centesimi in politiche del lavoro. Secondo i dati raccolti da Openpolis, il capoluogo partenopeo registra un tasso occupazionale bassissimo se osserviamo i numeri che riguardano la città di Bolzano, dove a lavorare è il 74% dei cittadini, oppure Bologna, dove il 72% degli abitanti ha un’occupazione.

Sia chiaro, in Italia le politiche per il lavoro sono materia di competenza di Stato e Regioni. Lo stabilisce l’articolo 117 della Costituzione che parla di legislazione concorrente riguardo a «tutela e sicurezza del lavoro». Tuttavia, seppur mantenendo un ruolo più “defilato”, anche i Comuni possono contribuire allo sviluppo del lavoro e alla crescita dell’occupazione. Quanto investe, dunque, Palazzo San Giacomo in questo settore? Molto poco: solo 0,31 centesimi pro capite, ben al di sotto della media nazionale che si attesta intorno a 1,23 euro. Confrontando la spesa del Comune di Napoli con quella di Milano, che investe per il lavoro 17,10 euro pro capite, emerge con evidenza l’enorme divario tra le due città. Analizzando i numeri, per una volta possiamo esimerci dal parlare di gap tra Nord e Sud perché, subito dopo Milano, tra le città virtuose che investono di più in occupazione e formazione c’è Bari: il capoluogo pugliese dedica a questa voce di spesa 7,10 euro pro capite. Certo, è una somma inferiore rispetto a quella investita dalla città lombarda, ma superiore a quella sborsata da tutti gli altri Comuni, anche del Nord, con più di 200mila abitanti.

Le spese nei bilanci comunali a favore dell’occupazione riguardano principalmente tre settori: i servizi per lo sviluppo del mercato del lavoro, la formazione professionale e il sostegno all’occupazione. Da un lato, queste voci comprendono le politiche attive di sostegno e di promozione dell’occupazione, oltre che di inserimento nel mercato del lavoro. Dall’altro, riguardano la tutela dal rischio di disoccupazione. Sono incluse, inoltre, le attività di supporto al coordinamento delle politiche strumentali alla realizzazione di programmi comunitari. Interventi che rientrano, nella maggior parte dei casi, nell’ambito delle competenze regionali unitaria in materia di lavoro e formazione professionale. Ma è ovvio che, in una fase storica in cui il lavoro è un lusso più che un diritto, anche i Comuni debbano darsi da fare.

Quale strategia, dunque, dovrebbe attuare il Comune di Napoli per sostenere contribuire a rafforzare l’occupazione? «Palazzo San Giacomo è in grande sofferenza economica – osserva Marcello D’Aponte, professore di Diritto del lavoro all’università Federico II – ed è noto che si occupi sempre di politiche straordinarie ed emergenziali e poco di quelle ordinarie. In questo caso, però, il lavoro a Napoli rappresenta entrambe». Sì, perché se il 62% dei napoletani non ha un’occupazione, la crisi del lavoro rappresenta senz’altro un’emergenza da non sottovalutare. «Gli enti locali possono e devono intervenire per incentivare l’inclusione sociale – afferma D’Aponte – e ciò vuol dire includere nel mondo del lavoro fette consistenti di popolazione che ora sono disoccupate e vivono ai margini della società».

Come? «Le zone economiche speciali (Zes) mi sembrano una buona idea, ma il Comune potrebbe mettere a disposizione di chi ha voglia di fare impresa gli edifici abbandonati del suo patrimonio, utilizzandoli come incubatori sociali – suggerisce D’Aponte – Per farlo c’è bisogno di mettere in rete università, imprenditori e coloro che vogliano fondare una startup». E il compito della pubblica amministrazione dovrebbe essere proprio questo. «La funzione degli enti locali – conclude D’Aponte – è quella di creare aggregazione tra le varie categorie, facilitare le iniziative imprenditoriali e creare occasioni di lavoro».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.