Fino a pochi mesi fa, nessuno poteva credere che le elezioni in Groenlandia sarebbero diventate un tema centrale di tutti i media occidentali. Poi però Donald Trump è tornato alla Casa Bianca. E l’immensa isola dell’Artico è stata catapultata nel “grande gioco” avviato dal presidente degli Stati Uniti.

Il tycoon ha messo la Groenlandia in cima alla sua agenda strategica. La vorrebbe come parte degli Stati Uniti, ha minacciato la Danimarca di prendersela anche con la forza qualora Copenaghen non dovesse venderla. E dalla Casa Bianca sono arrivati diversi segnali sulla volontà di trasformare il futuro referendum per l’indipendenza in un primo “step” per il successivo inserimento come nuovo Stato degli Stati Uniti d’America. Le elezioni legislative hanno però inviato un messaggio chiaro a The Donald e alla Danimarca. Il popolo groenlandese, in larga parte inuit, vuole l’indipendenza dalla corona danese. Ma allo stesso tempo, l’isola artica ha anche rivolto a Trump un sentito “no, grazie”. Autonomia sì, ma a tappe. E soprattutto senza entrare a far parte di un altro Stato.

A vincere le elezioni, infatti, è stato il partito dei Democratici, un movimento considerato di centrodestra ma che si proclama “social-liberale”. Il partito, con poco meno del 30 per cento dei consensi, ha vinto a sorpresa le elezioni imponendosi su tutti quelli che facevano parte della coalizione di governo uscente. E (sempre a sorpresa) al secondo posto è arrivato un altro movimento, ancora più intransigente dei Democratici, Naleraq, con il 24,5% dei voti. Sconfitti invece i partiti che hanno governato finora la Groenlandia, e cioè la sinistra ecologista di Inuit Ataqatigiit (del premier uscente Mute Egede) e i socialdemocratici di Siumut, puniti dagli elettori che questa volta si sono recati in massa alle urne con più del 70 per cento dell’affluenza. Come punito è stato Qulleq, che rimarrà fuori dal parlamento, e che per molti osservatori era il movimento più filoamericano di quelli candidati.

Per i Democratici di Jens-Frederik Nielsen, ora è il momento delle trattative. Nonostante la vittoria, infatti, il partito non ha la maggioranza assoluta del parlamento e dovrà quindi scendere a patti per una coalizione che abbia come obiettivo quello di gestire il processo di indipendenza, ma anche un rinnovato interesse internazionale per l’isola artica. “Parleremo con ogni partito”, ha sottolineato ieri Anna Wangenheim, vicepresidente dei Democratici, “non sappiamo con chi collaboreremo, ma siamo aperti a discutere e dibattere”. E per il partito vincitore ora si aprono due scenari: allearsi con la sinistra di “IA” o seguire Naleraq. La questione è complessa, perché in Groenlandia il vero nodo da sciogliere non è convincersi sull’indipendenza ma sul modo in cui raggiungerla.

Democratici e IA sarebbero meno propensi a uno strappo fulmineo con Copenaghen. Ma il centrodestra sostiene una politica economica ben diversa rispetto a quella della sinistra ecologista, in particolare sull’estrazione dell’uranio. Naleraq potrebbe essere l’alleato naturale dei Democratici. Tuttavia, il partito punta a un’indipendenza rapida, modello Brexit. Cosa che in tanti ritengono improbabile o quantomeno pericolosa. Nielsen ha convinto la maggioranza degli elettori per un’indipendenza politica che deve essere basata prima di tutto su quella economica. Ma la Groenlandia, che vive di pesca e sussidi della Danimarca, deve prima capire come sfruttare le sue risorse naturali e l’interesse di Trump.

Il leader dei Demokraatit ha già detto che l’isola non è in vendita. Ma in caso di governo con Naleraq, è molto probabile che i rapporti tra Nuuk e Washington siano blindati. L’influencer e personalità di punta di Naleraq, Qupanuk Olsen, sostiene apertamente The Donald. Kuno Fencker, uomo di peso del partito indipendentista, ha già detto che Trump è stato frainteso e che “se vuole investire in Groenlandia, è assolutamente benvenuto”. Dalla Casa Bianca, la spinta all’indipendenza è già una realtà. E per sopravvivere senza la Danimarca, gli investimenti americani potrebbero essere fondamentali. Trump vuole mettere mani sull’Eldorado groenlandese prima di Cina e Russia e assicurarsi che le rotte artiche siano sotto il controllo delle forze Usa. La Groenlandia non può sfruttare da sola quelle risorse, mancando manodopera, tecnologia e aziende in grado di farlo. Ma se Copenaghen rischia di perdere definitivamente uno dei gioielli della sua corona, Trump può essere contento fino a un certo punto. L’isola vuole l’indipendenza, ma senza diventare una nuova stella della “Old Glory”.