Sulla tragica vicenda della guerra contro l’Ucraina non si arresta la tendenza a pronunciare parole che tradiscono una sommaria conoscenza dei dati di fatto. Pronunciate spesso con un tono ultimativo, borioso. Tono che si rintraccia, ahimè, nell’intervista concessa alla Stampa il 3 marzo da Massimo Cacciari. Figura di spicco nel mondo degli studi filosofici, protagonista della discussione pubblica, le cui affermazioni contribuiscono alla formazione delle opinioni politiche. Sconcerta che Cacciari non trovi una sola parola di riprovazione a poche ore dall’immondo spettacolo offerto dal presidente degli Usa e dal suo vice nello Studio Ovale, e che sostenga che Trump “non è ipocrita, non è diplomatico, dice ciò che pensa”. Sorprende che per Cacciari l’adozione di dazi e le politiche protezionistiche siano la via scelta dagli Usa per “prepararsi ad affrontare la sfida del prossimo secolo” e “rimettere le cose a posto a casa loro”.

Il punto cruciale dell’intervista, tuttavia, è il modo in cui Cacciari parla dell’Europa. Una polemica astiosa contro l’Europa che dovrebbe “vergognarsi da qualsiasi punto di vista”. Non manca il dileggio contro i leader europei “allevati come polli di batteria”, privi quindi di idee e di visione politica, storica, culturale. Oltraggi che ascoltiamo dai più fanatici partecipanti dei caotici talk show televisivi. Nelle parole di Cacciari scompare la questione di fondo: una grande potenza atomica ha invaso militarmente uno Stato vicino più debole e ne ha annesso parte del territorio rompendo accordi, trattati, impegni solenni, che prevedevano il rispetto dei confini dell’Ucraina.

Quando tre anni fa Mosca aggredì l’Ucraina, l’obiettivo di Putin era trasformare l’intera Ucraina in una sorta di Bielorussa. A Kiev, lo zar non trovò Lukashenko ma Zelensky: un uomo che non si arrese ma che decise di combattere. Cosa avrebbe dovuto fare? Prendere l’elicottero e scappare? L’Europa l’ha sostenuto. Era sacrosanto farlo. L’ha fatto, direi a Cacciari, proprio perché consapevole della storia e del suo destino. L’Europa ha fornito faticosamente armi all’Ucraina per difendersi. Putin ha gettato nella fornace della guerra i poveri cristi inviati dalla Corea del Nord, ha distrutto spietatamente le infrastrutture energetiche, idriche, sanitarie dell’Ucraina per intimorire le popolazioni civili e costringerle alla resa. Non l’ha ottenuta. Cacciari tace su tutto ciò!

Dire che gli europei si proponevano di sconfiggere la Russia alimentando la guerra è argomento tradizionalmente usato dal portavoce di Putin, Dmitry Peskov. Come soluzione del conflitto, Cacciari avanza la “creazione di una provincia autonoma del Donbass all’interno della sovranità ucraina”. Fosse il cielo si riuscisse a muovere in questa direzione! Una direzione già respinta da Mosca nel 2014. Le regioni del Donbass di cui i russi si sono impadroniti sono state – nel corso di un’adunata del regime nella Piazza Rossa nel 2023 – proclamate annesse alla Russia. Dmitry Medvedev (il buffone di corte, lo definì Adriano Sofri) dichiarò che quei territori sarebbero stati difesi anche con il nucleare.

Oggi siamo a un passaggio cruciale. Ha ragione Zelensky a respingere un “cessate il fuoco senza garanzie di sicurezza” con il rischio di un’Ucraina senza difese occidentali, fuori dalla Nato, con un esercito minimo e inevitabilmente soggetta al controllo russo. La pace va raggiunta sulla base di un compromesso onorevole. In questa direzione si adopera un’Europa che è apparsa, in questi giorni drammatici, finalmente unita. L’Europa è cresciuta in un mondo aperto. Non era una superpotenza e la sua politica si muoveva sotto l’ala degli Stati Uniti. Oggi è tutto cambiato. Siamo dinanzi ad avvenimenti che preludono a una nuova struttura del mondo. Per l’Europa non è utile il catalogo di pessimismo inconcludente cui indulge Cacciari. Serve rimotivare il progetto europeo, partendo dalla realtà del mondo terribile e spietato quale oggi si presenta.