È un sottile equilibrio quello tra la Cina e l’Occidente, dove affari e strategia si intrecciano in un sistema intricato e difficile da sciogliere. Nelle stesse ore in cui la Commissione europea delineava una dottrina economica contro una «eccessiva dipendenza da un singolo Paese, in particolare uno con valori, modelli e interessi sistematicamente divergenti» (tradotto: Pechino e Mosca), la Germania di Olaf Scholz dava il via libera definitivo all’ingresso della cinese Cosco nel porto di Amburgo, mentre il premier Li Qiang veniva accolto con gli onori militari a Berlino prima di chiedere maggiore cooperazione tra Germania e Cina. Ambiguità geopolitica tra affari e diplomazia? Difficile capire dove si trovi un punto di convergenza. Quello che è certo, però, è che l’inserimento cinese nel terminal di Amburgo rappresenta forse in maniera cristallina la difficoltà nel rapportarsi con la Cina semplicemente tentando la via del distacco economico. E questo anche a costo di smentire le numerose e continue iniziative politiche e gli atti con cui i singoli Paesi e le alleanze di cui fanno parte mettono in guardia proprio sull’espansione degli interessi di Pechino nel mondo.

Le autorità tedesche, prima che venisse concluso l’accordo, avevano definito il porto di Amburgo come un’infrastruttura «critica», avvertendo quindi del rischio di cessioni di sue parti a colossi economici estranei al blocco Ue o alla Nato. Da Bruxelles, così come anche da Washington, hanno più volte posto l’accento sul pericolo rappresentato dall’aumento delle partecipazioni cinesi negli scali commerciali europei e dei Paesi alleati – un piano non certo iniziato dal porto tedesco – ribadendo come questo possa rappresentare un «vulnus» nella sicurezza delle infrastrutture strategiche occidentali. La stessa Germania, nel suo ultimo documento sulla dottrina strategica nazionale, aveva definito il Dragone come un «rivale sistemico» pur ribadendo la sua essenza di «partner». Di fronte a questo, però, Berlino non ha fatto marcia indietro. E il governo Scholz, pur tra mille caveat, è andato avanti.

Il cancelliere, che di Amburgo è stato sindaco per diversi anni, si è ritrovato così in una complicata palude politica. Rispetto all’era di Angela Merkel, la Germania ha infatti posto un freno a quella che per tutti era considerata l’età dell’oro dei rapporti tra Berlino e Pechino. Ma se da un lato alcuni partiti di governo hanno assunto una netta posizione anticinese (si pensi ai Verdi), Scholz e il suo Spd hanno preferito evitare il muro contro muro con la Repubblica popolare, consapevoli anche degli avvertimenti degli industriali tedeschi sui rischi economici di un completo “decoupling” dalla Cina. Proprio per questo motivo, da tempo Berlino ha iniziato a parlare non più di “decoupling”, cioè di sganciarsi completamente dalla Cina nei settori strategici o comunque più rilevanti sotto l’aspetto economico e di sicurezza, ma di solo “derisking”, che punta in realtà alla semplice riduzione dei rischi di un’eccessiva dipendenza da Pechino. Per esempio, nel terminal di Amburgo, Cosco andrà a possedere una quota minoritaria non troppo rilevante, né avrà l’autorizzazione a interferire in alcuni ambiti sensibili. In questo modo, si è così arrivati all’approvazione dell’accordo economico mitigando la percezione del pericolo per la sicurezza nazionale.

Che questo poi rassicuri davvero segmenti dello Stato e alleati è difficile da dire, ma sembra evidente come la Germania, pienamente consapevole dei rischi, non abbia modo né intenzione di bloccare gli enormi interessi del gigante asiatico nel Paese. Del resto, che il “derisking” sia ormai il leitmotiv della strategia occidentale nei confronti di Pechino lo dimostrano due elementi. Il primo è proprio la nuova strategia di sicurezza economica dell’Ue che, pur non citando mai la Cina, di fatto conferma che con la Repubblica popolare esistono interessi economici da tutelare e altri su cui invece si deciderà sulle iniziative da prendere di volta in volta. Il secondo elemento è invece rappresentato dalle parole del segretario di Stato Usa Anthony Blinken a margine degli incontri a Pechino con le autorità del Partito comunista cinese. «Esiste una profonda differenza per gli Stati Uniti e per molti altri Paesi tra derisking e decoupling» ha commentato Blinken parlando dei rapporti con la Cina. Ed è in questo modo che l’amministrazione Biden ha voluto far capire a Xi Jinping di essere consapevole di non potere avviare il completo sganciamento dalla Cina per quanto concerne i rapporti economici. Questo non implica che a Washington sia scoppiata la pace con Pechino.

L’arrivo del premier indiano Narendra Modi negli States ribadisce anzi la volontà americana di scardinare l’India dalla tradizionale politica di non allineamento per provare invece a consolidare il fronte di contenimento della Cina in Asia e nell’Indo-Pacifico. È chiaro che da parte degli Stati Uniti via sia tutto l’interesse a evitare che le ramificazioni economiche del Dragone diventino armi geopolitiche in grado di influenzare il resto del mondo: problema, per gli Usa, già visibile in contesti come quello africano e mediorientale. Ma è anche sempre più evidente che per l’Occidente non è semplice né sarà possibile convivere con Pechino in compartimenti stagni. Proseguendo così in quell’equilibrismo tra affari e politica in cui le maggiori potenze europee, come dimostrato dalla Germania, cercano di giocare la loro ultima ma fondamentale partita strategica.

Lorenzo Vita

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