L'apertura della Pontificia Accademia della Vita
Suicidio assistito, svolta della Chiesa: sì alla legge sul fine vita
Partiamo dalla conclusione: dal punto di vista della morale cattolica il progetto di legge sul fine vita non va scartato. Per essere più precisi, padre Carlo Casalone, gesuita, medico di formazione, docente di teologia morale, Accademico della Pontificia Accademia per la Vita, scrive così: «Nell’attuale situazione culturale e sociale, sembra a chi scrive da non escludersi che il sostegno a questa proposta di legge non contrasti con un responsabile perseguimento del bene comune possibile». Troviamo questa frase a conclusione di un’ampia analisi (13 pagine) nel prossimo numero de La Civiltà Cattolica (esce sabato e l’articolo è stato anticipato ieri), cioè la rivista le cui bozze vengono riviste e approvate dalla Segreteria di stato vaticana.
Padre Casalone svolge la sua dettagliata analisi, per arrivare alla conclusione già anticipata, seguendo alcune direttrici. Primo: in Italia esiste una legislazione sul “fine vita” che ha due importanti cardini, cioè la legge del 2017 sul “consenso informato” che permette di sospendere i trattamenti quando sono ritenuti “sproporzionati” (il che è accettato anche dalla morale cattolica tradizionale) e la legge del 2010 che promuove le cure palliative come via concreta per rispondere alla domanda di assistenza del malato e dei suoi familiari. Sebbene poco conosciute e poco applicate – “disattese” è il termine usato da Casalone – le due normative mettono al centro dell’attenzione una importante questione etica e giuridica: la differenza tra “lasciar morire” e “far morire”. In altri termini, le norme attuali accettano che in determinati casi, a determinate condizioni, si possa decidere di non lottare più contro il decorso fatale della malattia.
Secondo: ben diverso è il referendum – nota padre Casalone: se si arrivasse al voto, i ‘sì’ vincerebbero quasi sicuramente – il quale si situa sul fronte del “far morire”. Abrogando l’art. 579 del Codice penale e dunque depenalizzando l’omicidio del consenziente, «il risultato sarebbe di permettere l’omicidio senza subordinarlo ad altre condizioni se non quelle che garantiscono la validità del consenso». E dunque, in attesa di una normativa successiva al risultato del referendum, “anche una persona sana ricadrebbe nello spazio aperto dal referendum”.
E qui arriva il terzo aspetto: la proposta di legge che giace in Parlamento potrebbe costituire un argine, benché imperfetto ed esso stesso problematico» ma comunque utile «per sostenere, quanto meno, un voto contrario». La proposta di legge non riconosce un diritto al suicidio «ma la facoltà di chiedere aiuto per compierlo, a certe condizioni» – quelle stabilite dalla Corte costituzionale con la sentenza 242/2019 in cui si riconosce che l’evoluzione della medicina ha introdotto problematiche nuove rispetto al “bene della vita in condizioni di fragilità” (è Casalone, non la Corte). Ci sono ampie aree in cui la proposta di legge potrebbe venire migliorata: una migliore definizione delle condizioni cliniche, stringenti regole per non fare in modo che con il tempo diventi più frequente ricorrere al suicidio assistito secondo il fenomeno ben noto indicato come “pendio scivoloso”. Servirebbe inoltre una migliore definizione dei trattamenti di sostegno vitale e regole vincolanti e certe per il consenso.
La legge in discussione, poi, non affronta il tema dell’obiezione di coscienza dei sanitari, nel senso che la scelta se prestare assistenza al suicidio è affidata al singolo medico; la legge si pone sul crinale dell’autodeterminazione del singolo, dimenticando che la vita è fatta di relazioni, rapporti di fiducia e di interdipendenza. Per il momento la visione legislativa sembra riportare tutto a una sorta di “monopolio dell’autodeterminazione”. D’altro canto, su un versante più costruttivo, la proposta di legge si esprime in diversi passaggi a favore delle cure palliative e introduce i Comitati per la valutazione clinica, diversi dagli attuali Comitati etici territoriali, i quali oggi si dedicano a fornire pareri tecnici di conformità tra le condizioni previste dalla legge e la situazione clinica del paziente, e non svolgono valutazioni di tipo propriamente etico.
Ma qui si introduce il quarto aspetto e arriva la conclusione del ragionamento. La dottrina della Chiesa ha una posizione ferma sull’illiceità dell’assistenza al suicidio (pur considerando legittima la sospensione dei trattamenti quando diventano “irragionevoli” e indica dei criteri di valutazione in merito). Però nella valutazione di una legge dello stato devono entrare in campo considerazioni di tipo diverso (poiché gli stati teocratici, almeno in Occidente, non esistono più…) e dunque all’interno di un rapporto dialettico tra etica laica ed etica ispirata da una visione religiosa del mondo e della vita. La domanda si può porre così: è davvero necessario respingere la proposta di legge e correre il rischio di favorire la liberalizzazione del suicidio da parte dei promotori del referendum oppure non sarà meglio cercare di modificare la legge attenuando i passaggi più problematici? In altri termini: operare per inserire degli argini o preferire lo scontro diretto e un danno più grave qualora il referendum passasse?
E qui entra il tema delle “leggi imperfette”, un criterio di valutazione che la Chiesa usa quando ritiene possibile un compromesso accettabile. Con l’espressione “leggi imperfette” si indica una “via di mezzo” per rendere praticabile il dialogo con la società civile e la politica, evitando scontri e rotture rovinose. La questione coinvolge non solo la politica ma soprattutto i singoli politici, e sarebbe una modalità per risolvere contrasti spinosi e spaccature (pensiamo agli Usa con la polemica della destra cattolica – e alcuni vescovi irriducibili – contro l’ “abortista” Biden solo perché democratico). Superando poi la giustificazione del “male minore”: una proposta di legge che a certe condizioni consente il suicidio assistito sarebbe accettabile, nel mondo cattolico, per evitare un oggettivo danno (la liberalizzazione che si avrebbe con il referendum) e a patto di lavorare per il “bene maggiore” cioè modifiche che puntino a migliorare.
Inoltre nella concreta situazione italiana far naufragare la proposta di legge, rinviando una discussione complessa e spinosa, porterebbe un doppio obiettivo negativo: far perdere ulteriore credibilità alle istituzioni e lasciare poi ai cittadini la possibilità di compiere azioni omicide con il sostegno legislativo (qualora passi il referendum abrogativo e non ci sia alcuna forma di regolazione di tutta la materia con i vuoti legislativi che si aprirebbero). Ecco allora la conclusione, non più sorprendente: «Nell’attuale situazione culturale e sociale, sembra a chi scrive da non escludersi che il sostegno a questa proposta di legge non contrasti con un responsabile perseguimento del bene comune possibile».
Di questo ampio e denso articolo vanno evidenziati alcuni aspetti di assoluto rilievo. Pur se riferito a una discussione specifica, il tema delle “leggi imperfette” è di estremo interesse nel guardare in modo nuovo al rapporto tra la Chiesa e le società postmoderne e secolarizzate, aprendo spazi di dialogo invece di scontri. Ci sono poi altri due elementi da rimarcare. Primo: oggi sottolineare l’autonomia e la legittimità di ogni decisione del singolo (anche nel decidere di morire) sembra una affermazione dei diritti mentre, a meglio guardare, porta ad avallare una visione “contrattualistica” della medicina, per cui il paziente diventa un “cliente” a fronte di una richiesta di prestazione all’esperto e tutto si risolve privatizzando la medicina a scapito della dimensione della salute pubblica. In che modo imboccare altre strade? Forse partendo da una considerazione meno riduttiva delle relazioni interpersonali, tenendo conto della complessità delle persone, del fatto stesso che il consenso non è mai “solo” informato ma si dà sulla base del dialogo e della fiducia.
In un contesto relazionale dinamico, la vita è “mia” però allo stesso tempo le decisioni di ognuno hanno ricadute sociali; e gli altri possono difendermi/tutelarmi in una visione condivisa della vita, dei rapporti, delle scelte. E con buona pace di tutti i fondamentalisti della “disponibilità” ad ogni costo o della “indisponibilità” ad ogni costo della vita umana. Fondamentalisti dell’una e dell’altra sponda che dimenticano un tema emergente e prepotente – per la Chiesa è una linea emergente e destinata a sviluppi etici; i fondamentalisti ci facciano i conti! – cioè che la riflessione più aggiornata, soprattutto dopo la pandemia, parla sempre più spesso di “One Health”. Cioè i collegamenti tra tutti gli esseri viventi sul Pianeta, all’interno di un’unica biosfera, incidono sulla salute di ognuno e di tutti. Altro che “disponibilità” e/o “indisponibilità”. Siamo di fronte a scenari nuovi e complessi e le “risposte” vanno aggiornate. Premere F5, please, e riflettere!
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