La sinistra ha deciso di non partecipare alle elezioni in Liguria. Alle urne si affronteranno il candidato del centrodestra, e cioè il governatore uscente Giovanni Toti, e un esponente del settore più reazionario del partito di Travaglio e dei Pm. Si chiama Ferruccio Sansa, fa il giornalista al Fatto Quotidiano, è considerato uno degli esponenti più intransigenti della cordata dei magistrati davighiani. Sansa è anche un figlio d’arte: suo padre, Alessandro, magistrato, fu sindaco di Genova negli anni Novanta, eletto dal centrosinistra col quale però ruppe. Vinse le prime elezioni dirette a sindaco, nel 1993, quando infuriava l’inchiesta Mani Pulite e i magistrati avevano in pugno l’Italia. A differenza del figlio, che è magistrato solo ad honorem, il padre è stato un magistrato vero e proprio, a tutti gli effetti, e quando si concluse la sua esperienza politica imboccò la porta girevole e tornò in magistratura. Però ebbe l’eleganza di farsi assegnare il tribunale dei minori, evitando così – a differenza di diversi suoi colleghi – di doversi trovare a giudicare in processi politici i suoi avversari di un tempo.

Ferruccio fisicamente è la copia del padre, politicamente non saprei. Ha cinquantadue anni, è nato nel ‘68 ma della carica sovversiva del ‘68 non ha preso proprio niente. Viene dalla scuderia di Travaglio – ex Montanelli – che spesso ha rappresentato in televisione, sempre mostrandosi senza alcun tentennamento una punta di diamante dello schieramento dei Pm. A me è capitato recentemente di sentirmi dire da lui, nel corso di una trasmissione televisiva, che i Pm si sarebbero occupati di me per via delle cose non corrette che dicevo sulla magistratura. Aveva pienamente ragione: dopo quel suo invito piovvero, da parte dei Pm, diverse querele. Non si può imputare assolutamente nulla a Ferruccio Sansa, perché la fede reazionaria e giustizialista non è un peccato e, anzi, è assolutamente ammessa in qualunque consesso o società liberale (casomai sono i liberali che possono essere esclusi da un consesso o da una società giustizialista: mai il contrario). Il problema è il Pd, non è Sansa.

In pratica il Pd ha deciso di non partecipare alle elezioni in Liguria. Ha scelto la linea della desistenza. Lascerà che siano due destre a fronteggiarsi, o almeno – diciamo così – due modi diversi di interpretare la linea conservatrice: quella liberale di Toti (che tuttavia, molto spesso, è assai cedevole con la Lega e i suoi estremismi) e quella pienamente reazionaria di Sansa. La domanda è questa: come è possibile che un partito delle dimensioni e della tradizione politica del Pd decida di annullarsi e accucciarsi a Marco Travaglio? Cosa sta succedendo nella politica italiana, dove la destra rischia di finire nelle mani dei settori più reazionari e xenofobi, e la sinistra addirittura abiura, abdica, rinuncia a esistere e corre in soccorso dei grillini più radicali? Come può succedere che il paese che è stato guidato per anni dai De Gasperi, dai Fanfani, Moro, Nenni, Berlinguer, Craxi, e poi da Berlusconi e Prodi, stia per finire in mano alla tenaglia Travaglio- Salvini?

Ho letto recentemente due brevi interviste di Gigi Di Maio, che è uno degli uomini di punta, con Sansa, del travaglismo militante. A una domanda sconsiderata sull’ipotesi che lui possa essere l’erede di De Gasperi, ha risposto: «Per me è un complimento». Capite? Cioè, l’ha preso sul serio. E poi a una domanda su Draghi ha risposto: «Mi ha fatto un’ottima impressione». Capite, di nuovo? Hanno fatto credere a Di Maio che gli facevano conoscere Draghi così lui poteva giudicarlo. Oh mamma mia! Roba da Pol Pot senza sangue.

E ora? La Liguria, vecchia regione rossa, inaugura questa nuova stagione politica priva di sinistra. Credo che alla fine ci sarà un candidato o una candidata renziana, ma senza speranze. La Liguria, mi spiego? Genova, proprio Genova, della quale quest’anno ricordiamo i sessant’anni della rivolta antifascista guidata da Sandro Pertini e dalla quale nacque il centrosinistra di Moro e Fanfani. Genova dovrà scegliere tra la destra e Sansa. Era meglio Tambroni. E dovrà prendere atto che il Pd non esiste più come idea politica. Si è ridotto a un comitato elettorale. Povero Pertini, povera Genova. Povera Italia.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.