Per una volta l’ha spuntata il diritto. E il Senato non ha obbedito ai 5 Stelle guidati da Marco Travaglio. È una cosa molto importante. Sia dal punto di vista del diritto sia dal punto di visto umanitario. Sul piano del diritto è stato affermato il principio secondo il quale il godimento della pensione è un diritto universale, e il principio secondo il quale le norme e le leggi non possono avere valore retroattivo, anche se chi ne verrebbe svantaggiato è un sindacalista o addirittura un politico. Il Senato ha detto che siamo nel paese di Calamandrei e non di Pol Pot. Sul piano umanitario si è preso atto del fatto che togliere la pensione e il principale strumento di sussistenza a un signore di ottant’anni molto malato, di cancro, di Alzheimer, di Parkinson, è una azione feroce incompatibile con la civiltà.

Sono molto contento. Temevo che non sarebbe andata così. E il mio timore l’avevo espresso qualche giorno fa con un titolo indignato in prima pagina: “La Casellati ha deciso: Del Turco deve morire in povertà”. L’indignazione, credo, era giusta, il bersaglio sbagliato. Maria Elisabetta Casellati non era colpevole. Al contrario: credo che si sia battuta per sconfiggere le armate dei polpottisti e ha ottenuto il risultato. È stata più saggia di me. Spesso i politici sono più saggi e attenti dei giornalisti. Chapeau. Ieri sul Fatto Quotidiano Marco Travaglio aveva dettato la linea ai suoi, chiamandoli a un ultimo atto di resistenza. Credo che Travaglio – che ha una origine politica e culturale fortemente di destra – sia travolto soprattutto da un forte odio antisindacale. Non sopporta Del Turco che negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, ha guidato il movimento operaio a conquiste importantissime. Salariali, di diritti, di democrazia. Non gli importa niente delle sue condizioni di salute: deve pagare, è un socialista.

Nel suo editoriale di ieri Travaglio accusa Del Turco di avere preso tangenti per consentire all’imprenditore Angelini, proprietario di cliniche, di truffare lo Stato. E ha sostenuto che la prova provata delle tangenti sta nel telepass che per ben 19 volte ha registrato il viaggio di Angelini a casa di Del Turco, in Abruzzo. Non è così. La sentenza riconosce che Del Turco non ha recato alcun danno patrimoniale alla regione. Del Turco in realtà nel 2005, poi nel 2006, poi nel 2007 contestò ad Angelini una cinquantina di milioni di fatture gonfiate e denunciò la truffa. Altro che copertura a una truffa: l’esatto contrario. Ed è esattamente questa la ragione per la quale è stato messo in trappola. Angelini non gli ha perdonato lo sgarbo, che le giunte precedenti non si erano sognate di fargli, e lo ha accusato e travolto grazie a una magistratura un po’ pasticciona.

Direte voi: e il telepass? Il telepass ha segnato il passaggio delle automobili di Angelini all’uscita autostradale di Celano. Celano è esattamente il casello dal quale si esce per andare a una delle cliniche di Angelini. Ovvio che Angelini facesse spesso quel percorso. La casa di Del Turco invece è lontana almeno mezz’ora da quel casello. Secondo Travaglio la prova della corruzione sta nel fatto che Angelini uscisse dall’autostrada a Celano. Vi rendete conto? Cosa gli si può dire a questo benedetto ragazzo? Potrei usare dei nomignoli ripresi tutti dal suo giornale. Benevolmente, dico. Per esempio “il bomba”. O il “Cazzaro giallo…”

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.