Il partito dei magistrati (e dei giornalisti giudiziari embedded) attraverso la sua rappresentanza parlamentare (il Movimento 5 Stelle) ha chiesto ufficialmente al governo di rinunciare alla legge sulla presunzione di innocenza, e dunque alla Costituzione. A nome del partito dei Pm è intervenuto in aula, l’altra sera, il deputato Vittorio Ferraresi, che viene considerato l’alter ego dell’ex ministro Bonafede. Ferraresi è stato anche sottosegretario nei diversi governi a 5 stelle, per la precisione sottosegretario alla Giustizia. È lui che ha chiesto che sia cancellata o modificata radicalmente una legge di applicazione della Costituzione che appena qualche giorno fa i 5 Stelle avevano approvato.

Certo, una persona normale può anche stupirsi che l’ex ministro Bonafede, che viene solitamente considerato la controfigura di Conte, disponga a sua volta di una controfigura. I lettori di questo giornale sanno bene che esiste oltretutto la concreta possibilità che, nella realtà, Conte non esista: immaginatevi se può esistere un suo alter ego, e per di più un alter ego dell’alter ego. Eppure è così. Ed è stato attorno alla sua figura che si è radunato il fronte dei Pm e dei giornalisti giudiziari. Comandati, per la verità, dalla loro guida vera, dal deus ex machina. Che sapete benissimo chi è: Marcolino Travaglio. È lui che qualche settimana fa ha suonato la carica e ha richiamato all’ordine sia i magistrati, sia soprattutto i giornalisti e i suoi deputati. Accusati di essere dei quaquaraquà che si fanno incantare dalla Cartabia e cascano in tutte le trappole. Travaglio pensa che una legge che stabilisce che non si possa violare il principio della presunta innocenza, che i Pm non si possano trasformare in attori protagonisti e showmen, e che per di più non sia più consentita la violazione dei segreti investigativi, finché vigono, sia in realtà una legge che annienta Il Fatto e costringe i giornalisti giudiziari a fare il loro mestiere: cercare le notizie, leggere le carte, seguire i processi (quest’ultima è una attività ormai del tutto sconosciuta alla stampa, la quale si chiede: ma se il processo è pubblico, che lo seguo a fare? E poi osserva che al processo parla persino la difesa, complice dell’imputato, che mischia le cose e confonde le acque rischiando di stordire il giornalista…).

L’attacco della magistratura alla nuova legge, con pochissime eccezioni (ad esempio quella del Procuratore nazionale antimafia, Cafiero de Raho) è stato di impressionante violenza. Anche perché, appunto, giunto in ritardo e solo dopo la frustata di Travaglio. I magistrati più in vista nel circo mediatico si sono indignati e ora chiedono uno stop. L’Ordine dei giornalisti è andato subito in soccorso, gridando al bavaglio. Dice l’Ordine: ma se un giornalista non può demolire un imputato, fosse anche un imputato innocente, solo perché vige quel maledettissimo articolo 27 della Costituzione, ma allora la libertà dov’è? Libertà, senza fango? Ma quella è una cosa per radical chic! E così nasce questa nuova e complessa situazione, che nel gergo politico si chiama “sovversivismo delle classi dirigenti”. Stavolta, più precisamente, il sovversivismo è della magistratura.

L’espressione politologica di sovversivismo delle classi dirigenti fu coniata tanti anni fa da Antonio Gramsci. Che è stato uno dei maggiori intellettuali italiani, e studiosi di politica, del secolo scorso. Fu anche segretario del piccolo partito comunista di quell’epoca, tra il 1924 e il 1926, poi fu costretto a lasciare perché il regime fascista lo fece arrestare e lo tenne in prigione fino alla morte. Fu in prigione che scrisse le cose più importanti ed elaborò questi due concetti, che sono ancora attualissimi: il concetto di egemonia e quello di sovversivismo delle classi dirigenti.
L’egemonia di classe, per Gramsci, era la capacità di una classe sociale di imporre il suo punto di vista e il suo sistema di pensiero alle classi subalterne. Rendendole in questo modo sottomesse e integrate, senza il ricorso alla costrizione e alla violenza. L’idea di egemonia era molto diversa, anzi opposta all’idea di dittatura. E in qualche modo anticipava quello che oggi viene chiamato “il pensiero unico”.

La sovversione delle classi dirigenti scattava esattamente nel momento nel quale la classe dominante non riusciva più ad esprimere egemonia. E allora passava alla violazione di tutte le regole, che essa stessa aveva delineato, e delle leggi, e delle sue stesse tradizioni, e ricorreva all’uso del potere sopraffattorio, del potere giudiziario, della costrizione e della violenza. Oggi è difficile riprendere schematicamente il ragionamento di Gramsci, perché l’identificazione tra classi e potere è impossibile. Più facile identificare i gruppi che sono riusciti ad accaparrarsi la parte maggiore del potere nella società e che l’hanno difeso, in qualche modo, proprio con il sistema dell’egemonia. Gramsci effettivamente aveva una pessima idea del potere giudiziario («Il punto di vista giudiziario – scriveva – è un atto di volontà unilaterale tendente ad integrare col terrorismo l’insufficienza governativa»), che comunque considerava vessatorio, e però ancora immaginava in qualche modo non autonomo ma subalterno al potere esecutivo. In realtà era così.

Il potere giudiziario fu docile – e feroce – complice del fascismo, ma comunque fu sottoposto al fascismo ed ebbe una funzione ancillare. Oggi i termini della questione si sono rovesciati, il potere giudiziario ha sottomesso il potere politico, ed è stato proprio a conclusione di questo rovesciamento che è iniziata la sovversione. Il potere giudiziario non è più in grado di esprimere quella egemonia che largamente esprimeva negli anni di Borrelli, di Mani pulite, e che comunque ha continuato ad esprimere fino – direi – a qualche mese fa. Quando ha capito di avere perso l’egemonia ha deciso di passare alla sovversione. Chiamando tutti a raccolta. Come è successo in questi giorni: dalla manovalanza dei giornalisti fino ai vertici della Cassazione. E tutti hanno risposto “presente”, proprio come si faceva nel ventennio. Ora il problema è questo: esistono nella società e nella politica forze in grado di opporsi? O sono rimasti solo Enrico Costa e Roberto Giachetti?

P.S. Ma un giornalista che volesse dissociarsi dalla sovversione anti costituzionale dell’Ordine, che possibilità ha di dissociarsi? Solo quella di dimettersi dall’Ordine, come ha fatto Vittorio Feltri? Ma fuori dall’Ordine non può, per legge, svolgere pienamente e liberamente il proprio mestiere. Dunque è costretto a restare nella gabbia dei nemici della Costituzione?
Non so, ma a me viene sempre più forte il dubbio che in Italia la libertà di stampa sia solo un modo di dire. Libertà, si, ma dentro il cerchio disegnato dal Minculpop.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.