Esteri
Trump incontra il fu Jolani: “Un giovane attraente che guiderà la Siria nel futuro”

Il viaggio di Donald Trump nei Paesi arabi aveva almeno un grande obiettivo, quello di concludere affari. E di sicuro, questo obiettivo il presidente degli Stati Uniti lo sta raggiungendo. Il tycoon ha lasciato Riad con l’impegno da parte della casa reale saudita di investire 600 miliardi di dollari negli Usa. E per il principe Mohammed bin Salman c’è la possibilità che si arrivi anche a mille miliardi.
Ma per il presidente Usa, le tappe di Raid, Doha e negli Emirati Arabi Uniti servono anche a un altro scopo: rafforzare i legami con i Paesi della regione ragionando sull’agenda americana per il Medio Oriente. Trump, in questo viaggio, non ha cambiato molte delle sue idee. Resta convinto della necessità di un accordo con l’Iran per il programma nucleare, di cui ha “la sensazione che funzionerà”, come ha detto in Qatar, pur ricordando che Teheran deve abbandonare “il terrorismo”. È ancora certo dell’importanza del suo lavoro per gli ostaggi israeliani con Hamas e per una tregua a Gaza, confermato anche dall’incontro a Doha tra l’inviato speciale Usa, Steve Witkoff, l’inviato per gli ostaggi, Adam Boehler, e i delegati israeliani. Di concreto, Trump non è riuscito però a dare alcuna svolta sostanziale nell’ampliamento degli Accordi di Abramo, un suo pallino che passa inevitabilmente per la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele.
Anche se The Donald, smentendo le critiche di chi sostiene che questo viaggio sia un simbolo delle divergenze con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha sottolineato che il tour e i suoi buoni rapporti con i Paesi arabi servono proprio allo Stato ebraico. L’impressione, in effetti, è che la diplomazia Usa in questo momento ragioni in maniera indipendente rispetto a quella dell’alleato israeliano. E la conferma non è solo l’impegno sul nucleare o la trattativa separate con Hamas per gli ostaggi (in primis Edan Alexander) ma anche da un altro fattore. Prima di sbarcare in Qatar, Trump non ha solo partecipato al vertice tra i governi del Consiglio di cooperazione del Golfo e gli Stati Uniti di Riad, ma ha anche (se non soprattutto) incontrato il leader siriano Ahmed Al Sharaa, l’ex Abu Muhammad al Jolani. E questo incontro, il primo dopo oltre 25 anni tra un presidente statunitense e uno siriano, segna una svolta di non poco conto nelle dinamiche mediorientali. Alla riunione non c’erano solo Trump e Sharaa, ma anche Mohammed bin Salman e, in collegamento da Ankara, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Un segnale chiaro di chi sono i leader che contano nello scacchiere siriano. Ma un avvertimento anche per Netanyahu.
Trump ha descritto Sharaa come “un giovane attraente, un tipo duro, un combattente” e come colui che sarà in grado di guidare la Siria verso il futuro. L’investimento Usa è totale, visto che Trump ha anche deciso di rimuovere le sanzioni a Damasco. Ma il leader che ha preso il potere rovesciando Bashar al Assad è anche colui che Israele considera un problema, che deve garantire la sicurezza delle minoranze dopo i massacri degli alawiti e dopo gli scontri con i drusi. E se l’ormai ex Jolani ha chiesto agli Usa di investire nel petrolio siriano, Trump ha fatto al leader di Damasco alcune richieste esplicite: mandare via i terroristi e aderire in futuro agli Accordi di Abramo.
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