L’idea di portare l’Italia intera in Zona Gialla è “più un desiderata della politica che una strategia di controllo dell’epidemia”. E quindi pericolosa e rischiosa per quello che riguarda la gestione della pandemia da coronavirus. La Fondazione Gimbe chiede al Governo di “mantenere la linea del rigore, per evitare una nuova inversione della curva del contagio ed aumentare la pressione, già intensa, sugli ospedali dove i professionisti sanitari sono al limite dello stremo”, sottolinea Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione, che oggi ha diffuso il consueto report settimanale sui numeri del Covid in Italia. Un documento che commenta anche dati che vanno dal dpcm del 3 novembre alle misure del 29 novembre. Periodo durante il quale, si osserva, è calato soltanto l’indice di contagio Rt mentre tutti gli altri indicatori sono peggiorati rispetto al 6 novembre tranne rare eccezioni in alcune Regioni su certi parametri, ovvero il numero di ricoveri in Valle d’Aosta e Liguria e il numero di attualmente positivi nella provincia autonoma di Trento e in Valle d’Aosta.

Al centro del report di Gimbe anche la tempistica e i parametri di assegnazione nelle Zone Gialla, Arancione o Rossa di rischio contagio. “Chiediamo inoltre – ha detto a proposito Cartabellotta – di rivedere le tempistiche per ridurre l’intensità del colore delle Regioni: i dati confermano infatti che due settimane di ‘osservazione’ sono insufficienti per valutare un miglioramento tangibile sulla curva dei contagi e, soprattutto, sui tassi di ospedalizzazione”. Considerazioni completamente all’opposto rispetto a quelle del Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani che oggi, alla fine della Conferenza Stato Regioni, aveva sottolineato che il nuovo decreto del presidente del Consiglio dei ministri (dpcm) “riproduce quel che c’era nel precedente: rispetto a quello, in cui per risalire le zone ci volevano 14 giorni, in questa bozza si consente anche una distanza di giorni inferiore se i dati sono buoni e il gruppo di lavoro del Comitato tecnico-scientifico ne prende atto”.

IL REPORT – “La nostra analisi – ha dichiarato Renata Gili, responsabile ricerca sui servizi sanitari della fondazione Gimbe – conferma che, Rt a parte, non si intravedono risultati tangibili a 3 settimane dall’introduzione delle misure. Inoltre, suggerisce che sbiadire troppo presto il colore delle Regioni rischia di determinare una risalita prima dell’indice Rt, poi della curva epidemica e quindi dei tassi di ospedalizzazione. In altre parole – ancora Gili – con la circolazione del virus ancora troppo elevata per riprendere un efficace contact tracing e con la pressione sugli ospedali molto alta, i primi timidi segnali di miglioramento rischiano di essere vanificati dall’allentamento delle misure”.

Lo studio riporta che nella settimana dal 25 novembre al primo dicembre sono diminuite, rispetto alla precedente, i nuovi casi di positività da 165.879 a 216.950, e si è registrata anche una riduzione del rapporto positivi rispetto ai casi testati (24,7% rispetto 27,9%). Sono calati anche del 2,3% i casi attualmente positivi e, sul fronte degli ospedali, sono diminuiti sia i ricoveri con sintomi che le terapie intensive ma sono ancora in aumento i decessi: 5.055 rispetto ai 4.842 della settimana precedente, con un aumento del 9,9%.

Secondo la Fondazione, i ritardi sui dati e sulle diagnosi sono decisivi e influiscono sull’indice di contagio. “L’entità del miglioramento di alcuni parametri – ha aggiunto Cartabellotta – è peraltro sovrastimata sia da ritardi di notifica e completezza dei dati comunicati dalle Regioni, sia da alcuni fattori di non sempre chiara interpretazione. Diminuzione dei casi testati e limitata esecuzione del tampone nei contatti di positivi, con conseguente riduzione dell’incidenza di nuovi casi; ritardo di comunicazione delle date di diagnosi, prelievo e inizio sintomi, che abbassano il valore dell’indice Rt; conversione di posti letto di area medica destinati a pazienti affetti da altre patologie, con conseguente riduzione del tasso di occupazione ospedaliera”.

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