È una questione di princìpi, di priorità e di approccio. A volte più concreti e rivoluzionari di un documento finale firmato da tutti i 27. Il Consiglio europeo appena concluso non passerà alla storia dell’Unione perché ha stravolto bilanci, alleanze o capitoli di spesa. Ma perchè per la prima volta nella storia dell’Unione si è parlato concretamente di un Commissario Ue per la Difesa (mai esistito finora e da prevedere nella prossima Commissione), di una “comune industria militare europea” da finanziare, al momento, con il già esistente European peace facility (fondo per la difesa e la pace) e in futuro, forse, con l’emissione di bond europei. Per due giorni i leader dei 27 hanno affrontato la possibilità – che non è la probabilità – del rischio di un conflitto militare.

Certo che “non esiste un rischio guerra oggi o domani” come ha subito precisato il commissario agli Esteri Josef Borrell. Esiste, però, come ha detto Ursula von der Leyen “un cambio di scenario” per cui dopo cinquant’anni di benessere e crescita, nulla può essere più considerato scontato. Non la libertà. Non la democrazia. “È tempo di capire che tutto questo è un bene che va difeso e che c’è un prezzo da pagare”. Chi nega il cambio di scenario o, peggio ancora, si volta dall’altra parte, sta facendo un errore clamoroso. Nel punto stampa di fine consiglio Giorgia Meloni ha valorizzato il dossier agricoltura, fortemente voluta dall’Italia, che ha prodotto il via libera alla proroga agli aiuti di stato e un maggior impulso alle semplificazioni con taglio della burocrazia. Nessun leader europeo vuole trattori per strada nei prossimi tre mesi.

E dunque il fattore “campagna elettorale” ha certamente pesato molto. Meloni soddisfatta anche di come la “dimensione esterna” del dossier immigrazione (i flussi sono un problema europea e non solo del paese di primo ingresso via terra o via mare) sia ormai un dato acquisito delle riunioni dei 27. “Non è stato un Consiglio di guerra come qualcuno lo aveva ribattezzato – ha precisato – il clima è sempre lo stesso ed è ovvio che nessuno lo affronta a cuor leggero, siamo preoccupati, abbiamo una guerra, anzi due, alle porte di casa e dobbiamo essere pronti ad ogni eventualità”. Ed è su queste “eventualità” che si è concentrato il capitolo sicurezza-Ucraina, il più delicato di questo Consiglio. Era stato il presidente Michel a dire, alla vigilia, che l’Europa “deve prepararsi ed attrezzarsi all’ipotesi di un conflitto”. Mentre i 27 erano riuniti nell’Europa Building, Mosca ha fatto di tutto per tenere viva la minaccia: nuovi bombardamenti su Kiev e sul paese dove i droni hanno colpito centrali elettriche (un milione di ucraini sono rimasti senza luce).

Per la prima volta, il portavoce di Putin Dimitri Peskov ha parlato di “guerra” e non più di “operazione militare speciale”. Si registra sempre qualche acuto bellico quando i 27 paesi Ue si riuniscono e decidono nuove sanzioni e misure finanziarie contro Mosca. L’Unione Europea ha deciso di proporre l’uso dei proventi del congelamento dei beni della Banca Centrale Russa (circa tre miliardi) “perché siamo convinti che sia il modo giusto” di procedere e perché “la Russia deve pagare per quello che sta facendo in Ucraina” ha detto Ursula von der Leyen. È una decisione che coinvolgerà anche il G7 di metà giugno. Non è il caso di parlare di economia di guerra. Di sicuro però impostando una Difesa comune europea e quindi un Commissario serve un budget di spesa e un’industria in grado di produrre armi e munizioni. E questi sono i passaggi tanto fondamentali quanto al momento più divisivi tra i 27. Però se ne parla. Se ne discute e si cercano soluzioni.

Cose impensabili anche solo fino ad un anno fa. In attesa di poter usare i tre miliardi provenienti dagli interessi sugli asset russi confiscati in Europa, il Consiglio Ue ha dato via libera ad ulteriori 5 miliardi sullo European Peace Facility. “Neppure questo è stato facile – ha detto Meloni – ma come vedete ad ogni Consiglio europeo continuiamo ad aggiungere un pezzo al quadro d’insieme”. L’obiettivo di tutti è “difendere il rispetto delle regole senza il quale nessuno sarebbe più al sicuro”. Si ragiona anche sull’utilizzo di bond per finanziare la Difesa europea. È favorevole il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. “Pensiamo anche – ha detto – a come organizzarci se ci sarà un commissario Ue per la Difesa”. Il presidente francese Macron si è dichiarato “disponibile” a lanciare gli eurobond per finanziare la Difesa Ue. La proposta è stata concretizzata dai paesi baltici e del nord Wuropa, a cominciare dalla Polonia, che vivono maggiormente la sensazione del rischio. E del pericolo. In alternativa, ha detto Macron, “si può ricorrere a strumenti già sperimentati sotto pandemia per reperire fondi dal mercato con garanzie degli stati per una capacità comune di andare appunto sul mercato”. È successo, ad esempio, con il prestito Sure, che ha garantito il finanziamento delle casse di disoccupazione nazionali.

L’Italia, ad esempio, si è salvata grazie a Sure. Ad una Difesa Europea serve senza dubbio una nuova industria bellica europea. Che poi è il tema lanciato da Ursula von der Leyen come filo conduttore della sua campagna per la rielezione. L’Europa non ha più un’industria bellica in senso stretto. Può però facilmente riconvertire o ampliare le produzioni attuali. Parlando di soldi per sostenere la Difesa europea in grado di tutelare il continente in autonomia, va detto che non sarebbe una spesa in più ma probabilmente inferiore e più efficace. Nel 2023 i 27 paesi europei hanno speso 270 miliardi. La Federazione Russa solo cento. L’Europa produce e utilizza decine di sistemi d’arma diversi, gli Stati Uniti un paio per ogni tipo di arma. Tutto questo si traduce con un costo enorme per noi e assai più basso per gli altri. Questo vale soprattutto per chi, ad esempio Giuseppe Conte, ieri già urlava allo scandalo di “una nuova economia di guerra. Altro che pace”.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.